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Senza Titolo

Parte I inviata da x e caricata in data 28/Agosto/2004 16:30:36


Era da poco finito un periodo scolasticamente terribile: in 4 mesi avevo dovuto fare 3 esami per non rimanere indietro, ma ormai tutto era finito. Esausto, dopo che il giorno precedente avevo brillantemente superato anche l'ultima prova, mi ero svegliato tardi, alle 11. Appena aperti gli occhi, la mano automaticamente si spostò sul comodino affianco al letto per afferrare e accendere il telefonino: aspettavo una chiamata importante, la mia amica Barbara mi aveva già accennato il giorno prima a buone notizie che mi avrebbe comunicato stamattina, suggerendomi in anticipo di mantenermi libero per la serata. Le mie attese non furono smentite: il tempo di caricare la rubrica e un bip argentino mi avvisò presto dell'arrivo di un messaggio.

Barbie
9:23 / 30-06-04
Tutto ok per stasera: passo io alle 8:30, io e Tony, tu e LEI. Vi porto in un bel posticino...

Mi stupii di come quella logorroica cronica fosse riuscita a scrivere tutto in un messaggio. Ad ogni modo aveva fatto davvero un buon lavoro: capii subito che la LEI di cui parlava era chiaramente la moretta che avevo già da tempo adocchiato in biblioteca. Barbara non la conosceva benissimo, ma evidentemente quel tanto che bastava per convincerla ad uscire con un suo caro amico. C'era riuscita e, da quel che avevo capito, ci avrebbe portati, insieme col suo ragazzo Tony, in qualche posto romantico. Messo di buonumore ancora prima di scendere dal letto, ritenni non necessario informarmi ulteriormente: vidi un po’ di televisione e mangiai leggero; decisi allora di passare il pomeriggio girovagando in Internet. Da un po’ infatti avevo scoperto l'ambiente Fetish e GTS sulla rete globale e mi dilettavo da tempo leggendo le storie sparse sui numerosi siti dedicati al genere nella WWW: sono sempre stato affascinato dalla bellezza dei piedini femminili, e questo lo sapevo da una vita. Ma da poco avevo scoperto di sentirmi molto attratto anche dalle gigantesse: mi imbattei per caso in un sito dedicato alle GTS e immediatamente in me si svegliarono delle insospettabili fantasie che evidentemente avevo celate in me da tempo a mia stessa insaputa. Andai a lavarmi e vestirmi con largo anticipo, e così trascorsero veloci le ore.

Alle 20 e 30 fui pronto a precipitarmi giù allo squillo del citofono. Ecco che uscivo e vedevo la mia bella amica Barbara corrermi incontro, inondandomi con l'odore intenso del suo profumo. Mi abbracciò affettuosamente, come era solita salutarmi, e io ricambiai: dovevo quell'accoglienza tanto calorosa alla nostra profonda amicizia, che durava ormai da più di 8 anni, quando avevamo iniziato il Liceo insieme. Fummo da subito ottimi amici e consolidammo ulteriormente il nostro rapporto ritrovandoci a frequentare anche la stessa università. Ed ora la mia brava compagna era arrivata addirittura trovarmi la ragazza…Oggi mi sembrava ancora più affascinante del solito: notai subito i sabot col tacco medio, bianchi, come la gonna corta, molto corta, a sfidare il venticello fresco che spirava quella sera e lo sguardo di alcuni maliziosi che stavano passando di fronte al portone di casa. Sopra indossava una blousa celeste senza maniche, attillata e scollata per palesare la sua terza abbondante, e una giacca anch'essa bianca, ma di un bianco perlaceo, meno brillante rispetto a quello della gonna. <<Ciao Andry! Tutto ok? Non ti sei fatto sentire e per un po’ ho temuto che non venissi.>> <<Tutto bene, è solo che mi fido di te: ho pensato che non fosse necessario disturbarti. Grazie di tutto.>>. Barbara ridacchiò inorgoglita dalle mie lusinghe, passandosi una mano tra i capelli castani come gli occhi <<Vieni, voglio presentarti una persona... Andrea, questa è Cristiana. Cristiana... Andrea!>> Mi avvicinai a lei, la ringraziai di essere venuta e, atteggiandomi da galantuomo consumato, ma mostrandomi, invero, abbastanza impacciato, mi inginocchiai per il rituale baciamano, col secondo fine di scrutarne un po’ più da vicino le estremità. Come mi era di consuetudine fare con le donne, cominciai ad analizzarla dal basso verso l'alto: vidi subito i bei piedini, più piccoli di quelli di Barbara (che pure mi piacevano), calzanti una scarpa con tacco e aperte, in modo da mettere in risalto le unghie molto curate, smaltate di rosso, come quelle delle mani. Più sù un vestito di un colore indecifrabile, tra il vermiglio e l'arancio, con un motivo geometrico di linee ondulate dorate lungo la vita e il busto. E, per finire, un giubbotto di jeans, capace di conferirle un intrigante tocco casual. Non l'avevo mai vista così: a scuola sembrava la classica studentessa modello da college, faceva la perfettina per non smentire la sua media del 30, e per questo a molti miei amici stava antipatica solo a guardarla. Ora invece ne avevo scoperto la vera natura spensierata, in quell'audace accoppiamento di tinte sgargianti. Quei colori quasi mi avevano distolto nella mia attenta scansione, che pure era un procedimento per me più che abituale: così, dopo essermi trattenuto oltremodo nella mia posa di feudatario investito, mi rialzai, soffermandomi ad ammirarne le curve sinuose dei fianchi e il seno rotondo, anch'esso più piccolo rispetto a quello di Barbara (ormai il mio metro di confronto con Cristiana), ma comunque proporzionato per via della sua altezza decisamente inferiore: 1 metro e 75 o poco meno, forse 80 con i tacchi, contro 1 e 65. Allora alzai ancora lo sguardo per andare a fissarne il volto: la bocca sottile si apriva in un sorriso misterioso sulle gote pallide, ancora poco abbronzate. Era un sorriso ammaliante, tutto labbra niente denti, da cui traspariva la dolcezza e la serenità di quella giovane donna. Aveva il nasino all'insù e i lineamenti delicati, e più su, 2 bellissimi occhi blu. Fantastici, non li avevo mai visti così, e pensavi al tempo per cui quei due gioielli di scura ematite incastonati in una cornice di zaffiro erano rimasti nascosti alla mia vista dalla cascata di capelli corvini, che le nascondevano buona parte del viso durante le ore che passava china sui libri in biblioteca.

Ero ormai rapito da quel sorriso e da quegli occhi, ma un colpo potente dietro la nuca mi riportò sulla terra: sembrava che mi fosse caduto in testa un vaso o una tegola. Poi mi girai e vidi un inconfondibile ghigno idiota. Riconobbi immediatamente Tony, quello che era il fidanzato di Barbara ormai da più d'un mese, l'ultimo di una lunga serie: in effetti Barbara aveva avuto davvero tanti ragazzi... era normale, era una bellissima donna, con molti pretendenti (me compreso, quando ancora frequentavamo il liceo...), ma come facesse a impegnarsi con tanti uomini per me era ancora un mistero. Era una vera e proprio "mangiauomini", passava da uno all'altro a distanza di giorni; erano quasi sempre ragazzi di passaggio, che conosceva fuori città e si portava dietro per poi mollarli, quando evidentemente non gli andavano più a genio, senza che questi si facessero più vedere. Tra i numerosi, Tony era probabilmente il più scemo che avesse mai avuto, ma di certo aveva ben altre, più evidenti, qualità: era un judoka e aveva partecipato con successo a numerosi tornei di judo; era alto un metro e 90, un vero armadio, con bicipiti enormi e spalle larghissime a sorreggere la testa minuta, straordinariamente sproporzionata rispetto al fisico statuario. Lo avevo già conosciuto giorni addietro: Barbara me lo aveva presentato la settimana prima quando era venuto a prenderla fuori dall'università e subito si era distinto per le maniere grossolane e a dir poco rozze con cui stava salutando un suo simile. Ora che aveva riservato lo stesso trattamento anche a me, cercai di contraccambiare con una risata altrettanto sonora, rispondendo alla sua pacca con due colpi sul fianco. Tuttavia, per quanto mi fossi impegnato nel picchiare con decisione, ero certo di non avergli fatto più male di quanto non avesse fatto lui con me. E intanto cercavo di convincermi che, nonostante tutto, fosse simpatico.

Barbara intervenne a interrompere quegli ilari momenti di pateticità: <<Andiamo, che abbiamo il tavolo prenotato per le 9 e mezza, e siamo già in ritardo>> Replicai<<Manca ancora poco più di un'ora: ma in che posto è che devi portarci di tanto lontano?>>. <<Vi porto al Kashima.... è un ristorante cinese, effettivamente è un po’ fuori mano, ma si mangia bene: vi assicuro che non vi deluderà affatto o, per lo meno, non ha mai deluso me!>> Io subito pensai a tavolini bassi senza sedie, bacchettine per afferrare il cibo e pietanze a base di carne di balena e pesce palla, ma decisi di non fare commenti prima di aver provato questa nuova esperienza. Barbara era già andata a sedersi alla postazione di guida. Alla stregua di un cagnolino lo seguì Tony, che aveva sembrato gradire molto l'idea, come un bambino cui si propone di andare al luna park, ed era andato ad occupare l'altra postazione anteriore. Così io potei sedermi vicino a Cristiana nei sedili di dietro, pensando maliziosamente a cosa avrei voluto fare nello stesso punto, con la stessa persona in altre circostanze. Durante il tragitto Barbara dimostrava tutta la sua dimestichezza al volante, veramente notevole considerando che era una ragazza. Inoltre dava prova della sua ineguagliabile loquacità, passando con facilità disarmante da un argomento all'altro, dalla politica, allo sport alla scuola, permettendomi di conoscere ulteriormente i gusti e le idee della dolce fanciulla che sedeva al mio fianco. Il viaggio fu breve: percorremmo per lo più vie principali, poi imboccammo una strada secondaria che ci condusse su una collinetta e, dopo un ponte, si presento ai nostri occhi una costruzione dalle chiare tendenze orientali: un edificio ad un unico piano, con mura giallognole, lunghe e basse sotto un tetto quasi piatto, con delle incrinature verticali appena accennate. Un'insegna, se non lo avessimo capito, ci avvertiva o ci confermava che quello era proprio il Kashima. Nel parcheggio, poco grande e nemmeno troppo affollato, trovammo posto proprio vicino all'entrata, situata in una posizione singolare, vicino a un angolo dell'edificio. Era l'unica entrata, per di più molto piccola rispetto all'esteso perimetro esterno della costruzione. Barbara ci precedette sicura: certamente, per aver prenotato ed entrare con quella disinvoltura, doveva già essere venuta nel locale. E quando la vidi che si salutava con un abbraccio e un bacio sulla guancia con una cameriera dai caratteri somatici asiatici (probabilmente era giapponese o koreana), mi convinsi che fosse una cliente abituale. Nonostante fossi ben consapevole di essere lì per un appuntamento con una donna, non potevo ugualmente fare a meno di mettere gli occhi addosso a quella graziosa giapponesina. Come la maggior parte delle donne asiatiche, era bassina di altezza: le avrei dato un metro e 60 al massimo, non di più.

La sua statura minuta risultava lampante anche perchè calzava dei sandali infradito neri con la suola sottilissima. Naturalmente il mio sguardo si fermò sul contenuto di queste calzature: due piedi piccoli e chiarissimi, un 36 scarso. Dita corte, ma non tozze, piuttosto forse potevano apparire tali ad un occhio inesperto per le unghie non lunghissime, una cosa che a dir la verità lasciò un po’ deluso un amante di questa parte del piede femminile come me. Quando poi la cameriera ci diede le spalle per accompagnarci al nostro tavolo, di quelle comunque bellissime estremità potei ammirare anche le suole, che, se possibile, apparivano ancora più linde del già bianchissimo dorso. I talloni carnosi calcavano con sorprendente delicatezza su quelle ciabattine, ma i passi erano scanditi lo stesso da dei "flop" squillanti, che risuonavano con una cadenza ritmica quasi ipnotica sul pavimento in parquet dell'ampio locale, dove altrimenti l'unico sottofondo udibile era rappresentato da una musica soffusa, particolarmente melodica, che ben si abbinava ai caratteri orientali di tutto il ristorante. Tornando all'amica di Barbara, addosso aveva un gonnellino bianco che avrei visto meglio a una colf che a una cameriera, ma che comunque ne sapeva ben esaltare il fondoschiena rotondo. Più in alto una canotta nera cercava invece più di nascondere che di far risaltare il seno poco prosperoso. Aveva dei capelli neri abbastanza corti che a malapena raggiungevano le spalle. Quanto al viso... che volete che vi dica, le giapponesi ad un primo impatto le ho sempre viste tutte uguali, e questa mi parve distinguersi solo per la frangetta corvina che le copriva la fronte. Assorto come ero nella contemplazione della cameriera, non notai subito la strana organizzazione del locale: i tavoli non erano disposti lungo il corridoio, ma erano in delle stanzette delimitate da canne di bambù dispose verticalmente, come dei paraventi che facevano da barriera ad ogni tavolo. Il corridoio era molto largo, ma la parte adibita al transito stretta lungo il lato apposto a quello delle stanzine per la presenza di insoliti steccati che delimitavano l'entrata delle stesse. L'illuminazione non era nitidissima, il pavimento in parquet e molto scivoloso. Quanto alle stanze, all'interno vi era lo spazio necessario per un tavolo e quattro sedie (la mia fantasia di mangiare inginocchiati per terra si era rivelata infondata), e, al posto della porta, un telone adornato con raffigurazioni floreali rendeva ugualmente impossibile guardare all'esterno dall'interno o nell'interno dall'esterno. Inoltre le varie stanze di bambù non si trovavano vicine una all'altra, ma separate da almeno due metri l'una dall'altra. Pensai, da buon genovese, che forse si poteva risparmiare sui materiali mettendo due muri in comune, ma tant'è... Nel mentre ebbi modo di notare anche le reazioni degli altri: per Barbara era tutto normale, mentre Cristiana e Tony sembravano perplessi quanto me per via di quell'ambiente insolito.

La cameriera ci lasciò nella nostra stanzetta, la seconda dopo la porta d'entrata, e andò via. Noi ci accomodammo: c'erano quattro sedie, disposte a due a due lungo i lati paralleli della talvolta: io mi misi in quello più lontano dalla tenda d'ingresso, con affianco a me Tony. Questi aveva di fronte Barbara, mentre io la mia Cristiana. Guardai i nomi poco invitanti di alcune pietanze sul menù presente nella stanzetta, ma Barbara ci rassicurò dicendoci che aveva già ordinato lei per tutti. <<Non sapevo fossi esperta di cucina orientale...>> cercai di investigare. <<Effettivamente è una mia passione abbastanza recente, è nata anche per caso.>> <<Non ti seguo>>, replicai. <<Ma sai, col tempo si fanno nuove esperienze, si conoscono nuovi costumi e persone...>> <<Ti riferisci a quella tua amica, la cameriera?>> <<Amica...>> sbottò mostrando un cipiglio irritato "No, Kaori è soltanto una conoscente, non ho amiche di questo tipo, grazie a Dio..>> continuò, interrompendosi però di colpo e sgranando gli occhi per pochi decimi di secondo, come se si fosse resa conto di aver detto qualcosa fuori luogo o di troppo. Credo che anche Cristiana se ne fosse accorta, ma l'imbarazzo di Barbara fu puntualmente rotto (o forse accentuato) da un intervento tutt'altro che costruttivo di Tony <<Kaori, come quella della Philadelphia!>>, ridacchiò col fare da ebete che gli era consueto. Barbara non potè fare a meno di portarsi una mano alla fronte, e disse di dover correre un attimo in bagno. Cristiana intanto accennò di nuovo quel sorriso, lo stesso sorriso che mi aveva conquistato la prima volta che mi aveva guardato in faccia. Più la guardavo, più mi piaceva. Tutto, di lei mi affascinava: ero ammaliato dal suo incedere deciso, intrigato dalla sua limpida favella, e ora sentivo di doverle assolutamente carezzare il volto. Lo feci, quasi senza volerlo, ma desiderandolo in cuor mio più di qualsiasi altra cosa al mondo, mentre le scostavo una ciocca nerissima dal volto. Lei mi guardò dritto nelle pupille e nel suo sguardo lessi il riflesso della stessa attrazione, o forse dell'amore, che io sapevo di provare per lei. Così si sporse in avanti e lo stesso feci io. Le nostre labbra si unirono con naturalezza, ci stavamo baciando calorosamente dopo neanche un’ora da quando ci eravamo conosciuti: classico colpo di fulmine.

In quel momento Kaori entrò nella stanzetta, portando in tavola un vassoio con poche ciotoline <<Questo è l'antipasto tipico della cucina cinese: sono dei dolcetti molto saporiti, sbrigatevi a mangiarli finchè sono caldi!>>. Subito la cameriera scomparve dietro la tenda da cui era entrata. Io guardai Cristiana: forse era il caso di aspettare Barbara. Ma Tony aveva già trangugiato il primo dolcetto. Allora, affamato, ne presi uno anch'io, pensando che Barbara non se la sarebbe presa. Dall'aspetto e dalla consistenza parevano dei biscotti normalissimi, poco diversi da quelli della Mulino Bianco. Ne mangiai uno in un solo boccone, e non rimasi affatto deluso dal sapore, sebbene sospettoso riguardo alla composizione. Anche Cristiana aveva cominciato a mangiare, mordicchiando poco allettata il primo dolcetto. Io intanto, come Tony, ne avevo preso un altro.

Non feci in tempo a finire di mangiare anch'io il secondo biscotto, che cominciai a sentirmi poco bene: inizia a sentire un forte capogiro e mi sembrava di dover perdere l'equilibrio da un momento all'altro. Mi appoggiai con i gomiti sul tavolo e, confuso, passai almeno un minuto di agonia, con un dolore martellante alla testa. Come se non bastasse, sentivo le orecchie fischiarmi insistentemente. Poi, improvvisamente, si fece tutto nero. Non persi i sensi, ma mi sentivo come paralizzato e mi lasciai cadere. Nel giro di pochi secondi cominciai a riavermi: sentivo di nuovo la rilassante musica orientale del locale e la vista mi stava tornando, sebbene offuscata. Così, barcollando, riuscii ad alzarmi e strisciai su una superficie gialla e molto morbida. Procedendo a fatica raggiunsi un altro piano, più duro e regolare, dalla consistenza legnosa. Qui mi accorsi di essere nudo. Mi guardai attorno, ma vedevo tutto troppo lontano e sfocato. Allora iniziai a correre, cercando qualcosa o qualcuno che mi spiegasse cosa stesse accadendo, ma ancora intontito, non mi accorsi che davanti a me si apriva un baratro. Non riuscii a fermarmi ma, prima di cadere, mi slanciai in avanti, trovando un insperato appiglio in una sorta di liana. Da questa nuova locazione tutto cominciò a sembrarmi più chiaro: realizzai di aver appena camminato su quelle che erano la mia sedia e la mia maglia versione gigante. Ma ben presto capii che tutto lì era versione gigante, tutto era rimasto uguale a prima, ero io ad essermi rimpicciolito, in quanto tutto era invariato, compreso lo spago del paravento di bambù a cui ero riuscito ad aggrapparmi. Provai a scrutare in lontananza: il posto di Cristiana era lontanissimo da me, distante, viste le mie dimensioni, che avevo approssimate a 4 centimetri o poco più, almeno 150 metri dei miei metri, e non riuscii a vederla. Al mio fianco però, potevo osservare il mucchio di abiti che prima indossava Tony.

Il primo dei miei problemi per me, in quel momento, era trovare un rifugio sicuro. La mia posizione, con la vita appesa in senso letterale, ad un filo, era molto precaria, ma per fortuna, poco distante, notai una crepa tra due canne di bambù. Mi spostai stando in equilibrio sullo spago che li teneva uniti, e riuscii a raggiungere quel piccolo vano che per me rappresentava un rifugio più che sicuro.

Non feci in tempo ad entrarvi che in lontananza si spalancò la tenda della stanzetta: apparve Barbara, altissima, anzi, gigantesca, di maestosità incomparabile con qualsiasi altra cosa avessi mai visto. Rimasi a bocca aperta: non mi ero ancora abituato a quelle dimensioni, né tanto meno mi ero preparato a una visione così terrificante e così incantevole. Barbara si guardò un attimo intorno. Subito sorrise, quindi parlò: <<Benissimo, vedo che avete già cominciato a mangiare.; davvero bravi, nemmeno mi avete aspettato... piaciuti i dolcetti???>> Qui il sorriso si allargò e scoppiò in una risata fragorosa e per nulla rassicurante. Non mi ci volle molto a comprendere che era stata lei, con la complicità di Kaori, l'artefice della mia riduzione. Quali fossero lo loro intenzioni non mi era ancora del tutto chiaro, ma quegli occhi, illuminati di diabolico, non promettevano nulla di buono. La mia amica si diresse verso la sedia di Cristiana. La vidi chinarsi e pochissimo dopo alzare trionfante nella mano destra una bambolina mora... Cristiana! <<Ma quando sei carina tutta nuda: sei veramente un amore così!>>. Quindi venne dall'altra parte del tavola. Scostò la camicia nera di Tony e subito trovò il suo fidanzatino. Ora toccava a me. Barbara cominciò a cercarmi: vide sotto la mia t-shirt e, non trovandomi, si abbassò, cercando tra i pantaloni e nelle scarpe. Perplessa, si rialzò per dare un'occhiata per la stanza e poi si controllò anche le suole delle scarpe. Stava diventando nervosa, cominciò ad imprecare, dicendo che se non mi fossi subito fatto trovare mi avrebbe schiacciato. In precedenza avevo avuto dei dubbi sulla possibilità di uscire allo scoperto, tuttavia avevo preferito rimanere nascosto e le ultime parole di Barbara mi facevano pensare di aver fatto la scelta giusta. D'altronde non potevo muovermi da lì, sotto di me c'era un precipizio di parecchie decine di metri, così rimasi in attesa di sviluppi. Ma, dal canto mio, ero abbastanza sicuro di non essere trovato, potendo spostarmi all'interno delle vicine canne di bambù. Mentre Barbara ancora si affannava inutilmente nella mia ricerca, arrivò Kaori, portando un secondo vassoio. <<Kaori, ho un problema... non trovo Andrea!>>. <<Che significa non lo trovi: i suoi vestiti sono lì, no? Cerca lì in mezzo!>> <<No, ho cercato bene e non c'è! Sicura che non sia uscito?>> <<No, è impossibile passare attraverso il paravento, è fisso in terra, e se fosse uscito dalla tenda me ne sarei accorta... guarda meglio, lo troverai svenuto nelle sue stesse scarpe>>. <<Cretina, ti ho detto che ci ho visto! Piuttosto, non è che avete sbagliato le dosi e lo avete fatto troppo potente? Si sarà mica rimpicciolito nel nulla?>> Scuotendo la testa, la cameriera cominciò a cercarmi da sé, con lo stesso esito di Barbara. <<E' molto strano: forse in cucina hanno sbagliato le dosi e hanno fatto la droga dei biscotti troppo potente: il tuo amico potrebbe essersi dissolto nel nulla, ma se il problema è un solo omino, te ne posso far avere subito un altro... anche due o tre se magari mi passi la tua amichetta. Io me ne intendo, sembra proprio un bel bocconcino! >> <<Scordatelo!>> <<Eddai, che devi farci? Sarai mica diventata lesbica anche tu???>> <<Mi spiace cara, per fortuna non sei ancora contagiosa...>> <<Fa quello che vuoi, io non ti faccio avere niente!>> Kaori uscì velocemente, lasciando Barbara parzialmente rinfrancata per come aveva trionfalmente vinto il breve ma intenso alterco con la sua complice, che avevo scoperto essere omosessuale.

Barbara andò a sedersi al posto di Tony, e poggiò Cristiana e lo stesso Tony sulla mia vecchia sedia. Dalla mia postazione, nella crepa del paravento, potevo vederli benissimo, e notai solo ora che lui era alto più o meno come me, millimetro più, millimetro meno, mentre lei era più del doppio, 8 o 9 centimetri. Pensai che probabilmente dipendeva dal fatto che noi due avevamo mangiato 2 dolcetti, mentre lei aveva dato appena pochi morsi al primo... Entrambi comunque apparivano evidentemente intimoriti, come me d'altronde, dalle dimensioni e dal presagio delle intenzioni di Barbara: Cristiana soprattutto pareva davvero shockata, tremava come una foglia, e se ne stava accasciata.

Mi sarebbe piaciuto scendere e farmi vedere da loro due, ma avrei rischiato troppo di essere scoperto da Barbara e l'idea di trovarmi tra le grinfie della mia amica in quella situazione non mi piaceva per nulla. <<Anche se un nostro commensale manca all'appello, io direi che possiamo cominciare ugualmente... dunque, io mangio, voi nel frattempo mi fate un bel massaggio ai piedini: queste scarpe nuove mi stanno davvero uccidendo!>> disse Barbara, e intanto appoggiava le belle estremità sulla mia sedia. Così da vicino non le avevo mai viste, erano enormi ma bellissime, emanavano anche un odore piuttosto gradevole, mascherato da quello del cuoio dei sabot nuovi. Tony e Cristiana non si mossero, Barbara così li incoraggiò con voce più scocciata <<Dai, fatemi questo piacerino... Tony carissimo, me li massaggi ogni volta che te lo chiedo, anche dopo che ho fatto jogging, e adesso che sono puliti non ti va?>>. Barbara accavallò i piedi, il tallone del destro sul dorso del sinistro. Fu ora che Tony si avvicinò ai piedi della sua ragazza. Iniziò così a massaggiare la pianta del destro, palpando energicamente sotto l'alluce. Barbara, che aveva iniziato a mangiare una sorta di minestra, sembrò gradire l'iniziativa del suo Tony <<Mmm... bravo, è proprio là che mi fa male. Ahhh, adesso vai un po’ più giù, verso il tallone.>> Mentre Tony si sforzava per soddisfare Barbara, Cristiana rimaneva in disparte su un angolo della sedia, ancora atterrita. Barbara provò a convincerla <<Dai Cri, proprio non ti va?>>. Cristiana scosse il capo. <<Allora ti convinco io... se non mi baci le ditine adesso ti schiaccio!>> Con un movimento improvviso sollevò il destro da sopra Tony e lo posò su Cristiana, mettendola schiena a terra con l'alluce che le premeva sulla faccia. Cristiana iniziò ad urlare: potevo sentire bene i suoi acuti sottili, come pure Barbara, che rise e le parlò <<Adesso ti lagni? Dovevi pensarci prima! Ora bacia per bene i piedi della tua principessa!>>. Si vedeva lontano un miglio che Cristiana era veramente terrorizzata, eppure Barbara continuava a tormentarla e si divertiva a vederla soffrire. Pensai a quanto era stronza, temevo potesse farle realmente male, e fui quasi sul punto di uscire dal mio nascondiglio per andare ad aiutarla. Mi anticipò Tony, che si diresse verso il piede che schiacciava Cristiana e cerco di alzare l'alluce. <<Guarda che bravo cavaliere! Ti offri di aiutare una dama in difficoltà? Spiacente, ma è lei che deve pagare>>. Tony, che certamente si rendeva conto della sofferenza di Cristiana, morse l'alluce a Barbara. Pensavo che il suo tentativo si sarebbe rivelato risibile, Barbara invece allontanò il piede con un'esclamazione di dolore. Furibonda per l'affronto subito, guardò il suo ragazzo << Brutto stronzo, che cazzo ti salta in mente?! Vuoi proprio farti ammazzare, eh? Eccoti servito!>> così dicendo alzò il piede destro da sopra Cristiana e lo abbassò su Tony. Stavolta, senza nessuna delicatezza, lo schiaccio completamente sotto la parte della suola vicina alle dita. <<Sai Cri, è davvero bellissimo... sento che lui si agita disperato, mentre io sento appena un gradevolissimo prurito. Ma adesso lo finisco, che a te serva di lezione!>>. Barbara poggiò il sinistro per terra e si alzò dalla sedia, spostando tutto il suo enorme peso sul povero corpo di Tony. <<Ecco, non si muove più>>. Un rivoletto di sangue cominciò a scorrere da sotto le carni della pianta di Barbara. Cristiana si coprì il volto e scoppiò a piangere. Anch'io ora ero veramente impaurito: se fino a poco prima avevo mantenuto viva la remota ipotesi che Barbara volesse solo divertirsi, ora anche questa era svanita del tutto.

Barbara alzò il tallone dalla sedia. Cristiana si trovava davanti al suo piede, ancora con le mani sul viso, e non vide nulla. Io invece potevo ben notare la poltiglia informe che era rimasta sulla sedia, nonchè la suola del piede di Barbara, grondante di sangue. Anche la stessa Barbara pareva stupita, nemmeno lei si aspettava un simile risultato dalla sua potenza. Pulì rapidamente con un fazzoletto i resti di Tony dal piede destro e dalla sedia. Quindi ricominciò a mangiare la sua minestrina. Cristiana continuava a piagnucolare, sebbene più flebilmente, e si era messa seduta sulle natiche, abbracciata alle sue stesse gambe, fissando con occhi sbarrati la chiazza rossa rimasta nel punto in cui Barbara aveva appena schiacciato Tony.

Barbara, meno dura che in altre occasioni, provò a consolarla <<Smettila di frignare, a te non riserverò una fine così orribile... ormai mi sono sfogata!>>. Cri si voltò verso di lei, senza mutare espressione, con il viso nascosto fin sopra al naso da un braccio che le cingeva le ginocchia. <<Stai forse piangendo per Andrea? Sappi che non ti sei persa nulla, è uno stronzetto come tanti: ti guardava come se volesse saltarti addosso da un momento all'altro. Ne avresti trovanti a caterve come lui.>> Imprecai mentalmente contro quella maledetta per il modo in cui mi stava screditando: avevo una gran voglia di spaccarle la faccia. <<Se ti può consolare, penso che non sia sparito nel nulla come Kaori vuol farmi credere: quella puttana lesbica era venuta per te, ma è talmente imbranata che, non trovandoti, avrà preso Andrea per ricattarmi. Ma anche la proprietaria del locale è mia amica, se non me lo ridà la faccio licenziare!>> Sulla sua faccia si accese un sorriso compiaciuto per la brillantezza di quelle sue inesatte supposizioni e per il progetto di vendetta che già stava pianificando nei confronti della cameriera. <<Per il momento, comunque, mi basti tu: non hai fame???>> Barbara mise una mollica di pane imbevuta nella minestra tra l'alluce e il secondo dito del piede sinistro, quello pulito, e porse la razione a Cristiana con il palese scopo di farle continuare il servizio già incominciato da Tony. Quel pezzettino di pane, che sarebbe stato sufficiente a sfamarmi per un giorno intero, rappresentava un trofeo ambito anche per me, che avevo mangiato solo quei due dolcetti malefici nelle ultime 8 ore. Barbara faceva dondolare lentamente il suo piedino sulla testa di Cristiana, come una pescatrice che agita la lenza per persuadere un pesce ad abboccare. Cristiana però rimase immobile, accrescendo il disappunto e la frustrazione di Barbara. <<Non ti piacciono proprio, a quanto vedo... non ti capisco, io vado pazza per i piedini femminili, faccio la pedicure una volta a settimana e spendo centinaia di euro per le scarpe ogni mese! Io me ne intendo, ti posso dire che anche i tuoi sono carini... anzi... quasi quasi...>> Barbara guardò Cristiana in modo poco tranquillizzante: allungò la mano verso di lei, la afferrò e la poggiò nel piatto di minestra, che ormai doveva essere quasi vuoto, tanto che la mia piccola amata si bagnò solo le natiche e le gambe fino allo stinco. Barbara la sollevò e la avvicinò alla bocca, cominciando a baciare i piedini di Cristiana. A causa della grandezza della sua bocca, tuttavia questi finivano sempre inevitabilmente nel suo interno. Così comprese che era più facile introdurvi una gamba intera e succhiare fin dove era insaporita dalla minestra. Succhiava avidamente tenendo gli occhi socchiusi, e intanto si emetteva mugolii deliziati. Barbara continuò imperterrita il suo servizietto, nel corso dei quali avvolgeva le divine estremità della sua amica con sinuosi movimenti di labbra e (posso immaginare) di lingua, scorrendo lentamente dalla caviglia a fin sotto il ginocchio e tornando indietro ripetutamente con la stessa delicatezza. Quando poi voleva cambiare piedino faceva fuoriuscire con un lento movimento del labbro inferiore il tallone; quindi, per alcuni secondi, teneva dentro soltanto le piccolissime ditine, che infine lasciava scivolare fuori sempre sullo stesso labbro. Cristiana era incredula, rimase per tutto il tempo impassibile in silenzio, seduta tra i palmi delle mani di Barbara a vederla adorarle i piedini: si lasciò sfuggire solo un paio di sorrisini, nei momenti in cui si sentiva solleticata. Io invece, ancora all'interno del paravento in bambù, riuscii a godermi uno spettacolo fetish assolutamente unico, seppur da spettatore passivo.

Dopo 3 minuti circa, Barbara terminò il suo lavoro e lasciò Cristiana con entrambi i piedi appoggiati tra le labbra, appena sotto il naso. Riaprendo gli occhi, assaporò ancora una volta quel gusto squisito (di minestra?) passandosi la lingua sulla bocca. Quindi li allontanò dalle labbra con un ultimo bacio sulle piantine imbevute di saliva. Barbara appariva confusa per quello che aveva appena fatto, guardava con occhi stralunati Cristiana, rimasta distesa sulle dita delle sue mani, con i piedi incrociati sul polso. Quindi sentenziò <<E' stato davvero bellissimo... non avevo mai provato questo con una donna: sono una cliente abituale, ma... finora ero venuta qui solo per scaricare definitivamente i miei ex>> Barbara parlava sommessamente, quasi rammaricata per il tempo perso con degli inutili maschietti. Aveva una voce diversa rispetto a quando insultava e minacciava, ora con tono pacato, privo di partecipazione aggiungeva <<Ti ringrazio, Cristiana>> seguì una lunga pausa: pareva aver finito il suo breve discorso, poi però aggiunse lapidaria, sempre con la stessa voce <<Peccato solo che tu mi abbia già messo l'acquolina in bocca... mi spiace ma... adesso ti voglio TUTTA!>> La repentinità di quest'ultima sentenza mi lasciò assolutamente interdetto.

Anche Cristiana sulle prime non riuscì a ribattere e si vide di nuovo precipitare nella minestra. Stavolta Barbara si preoccupò di bagnarla per bene, la mise a schiena in giù, poi la rigirò premendola con le dita verso il fondo del piatto. La riprese in mano e la riavvicinò alla bocca, con un altro fine rispetto a pochi minuti prima. Le sue movenze apparivano esitanti e il suo sguardo spento e inespressivo, perso verso un punto lontano: sembrava in trance. Cristiana, sballottata prima verso il basso, poi rialzata di colpo tutta inzuppata, rimase frastornata per alcuni istanti. Poi si vide improvvisamente al cospetto delle fauci spalancate di Barbara. Iniziò ad urlare e ad imprecare tra i singhiozzi di venire risparmiata. Anch'io, angosciato, mi sporsi dal mio antro, gridando i nomi di Barbara e Cristiana ma, per le mie minori dimensioni, nessuna delle due sembrò udirlo. Cristiana si trovava ormai a pochi centimetri dalle labbra di Barbara. La gigantessa iniziò a introdurla nel suo orifizio carnoso, ancora una volta partendo dalle gambe. Continuava a muoversi inconsciamente, senza ricevere stimoli esterni: persino gli acuti disperati di Cristiana la lasciavano indifferente. Cristiana cercava inoltre di divincolarsi con tutte le sue forze, scalciava sul palato di Barbara e si agitava terrorizzata nella sua morsa, eppure Barbara riuscì ad ingoiare anche il ventre e le braccia con facilità. Rimaneva fuori dalla bocca solo la testa. La fine era evidente e ormai prossima. Il pianto di Cristiana era ora spezzato solo da poche urla, sfinite e rassegnate. Io continuavo ad chiamarla a squarciagola, voleva farmi notare da lei un'ultima volta. Le dissi che l'amavo, ma di certo non mi sentì. Eppure fu a me che rivolse i suoi ultimi pensieri: mi invocò urlando il mio nome, dicendo che sperava di ritrovarmi. Un attimo dopo scomparì definitivamente nella bocca di Barbara che, sollevando la gola, ingerì intero il suo boccone. Scoppiai in un pianto dirotto: nella stessa sera avevo trovato e perso il mio amore e la persona che me lo aveva portato, ora se lo riprendeva nel più atroce dei modi <<Non temere Cristiana, ti vendicherò e ti raggiungerò.>>.

Subito dopo aver finito il suo pasto, Barbara sembrò riprendere coscienza di se stessa: i suoi lineamenti tesi si sciolsero improvvisamente, la sua bocca assassina si allargò in un sorriso soddisfatto e, con una mano, andò a carezzarsi lo stomaco. Allora entrò nuovamente Kaori portando un vassoio, e chiese <<Hai ritrovato il tuo amico?>>. <<No, in compenso ho scoperto quando dolci siano le femminucce... avevi ragione, sono squisite da mangiare, delicatissime, scivolano giù che è un piacere. Ancora la sento agitarsi nello stomaco, solletica che è un piacere>>. <<E il tuo ragazzo?>> <<Già andato, ha fatto la fine dei più>>.<<Sei la solida ingorda, li finisci sempre prima del secondo. Ad ogni modo alla "direzione" mi hanno detto di portarti un altro in sostituzione di quello sparito: dopo tutto sei una cliente affezionata>> La cameriera lo ammise ciò con voce aspra, e sollevò il coperchio dal vassoio, scoprendo un nuovo piatto e un omino in un bicchiere affianco. <<La tua insalata di pollo e un omino offerto dalla casa: buon secondo piatto!>> Quindi, se ne tornò da dove era venuta. Io ero ancora lì, stavo asciugandomi le ultime lacrime, ma mi sentivo a pezzi, lacerato dentro dal dolore. Ciò nonostante avevo riflettuto e avevo realizzato che il modo migliore per farla pagare a Barbara, Kaori e tutti i partecipanti al gioco perverso di quel ristorante cinese era denunciare al mondo intero le loro malefatte. In fondo mi sarebbe stato impossibile farmi giustizia da solo nelle mie condizioni attuali: dovevo "soltanto" uscire fuori dal locale e trovare qualcuno che mi aiutasse ad arrivare dalla polizia.
Mi guardai intorno all'interno del mio antro nel paravento: notai che dalla parte opposta a quella in cui ero entrata, in direzione dell'uscita, c'era un altro piccolo buco. Con un po’ di fatica riuscii ad allargarlo abbastanza da passarvi attraverso.

Mi sporsi e guardai giù nel vuoto, provando un senso di vertigine, ma facendomi pian piano coraggio mi portai fuori dal paravento attaccato al solito spago sporgente. C'erano fili che tenevano unite le canne orizzontalmente, altri verticalmente. Ed era sfruttando uno di questi che dovevo raggiungere una quota più sicura: raccogliendo tutte le mie forze e il mio coraggio, mi lasciai scivolare lungo uno di questi fili. Un paio di volte rischiai di perdere la presa, ma per fortuna i fili della rilegatura orizzontale si ripetevano ogni 20-30 centimetri reali e mi permettevano di sostare per riposare. Riuscii a raggiungere il piano terra sano e salvo, sebbene con un dolore terribile alle mani, piene di graffi per lo sfregamento cui le avevo sottoposte per rallentare di volta in volta la caduta. Una volta sul pavimento, comunque, mi avvicinai al battiscopa: era tutto scuro e il rischio di essere visto dal personale del locale di passaggio era piuttosto esiguo. Percorsi velocemente i 150 metri circa che mi separavano dall'altra stanzetta con relativo paravento in bambù, l'unica prima dell'agognata uscita. Anche qui trovai un utile orifizio tra due canne, e vi entrai per accorciare la strada. La stanza in cui ero appena penetrato era occupata, c'era solo una bella biondina seminuda, senza slip e con la minigonna sollevata, intenta a masturbarsi. Dalla mia prospettiva mi era difficile vedere, per le mie dimensioni la sedia era alta come un palazzo a 5 piani, ma intuii che certamente stava usando un omino come dildo. Distratta dal suo gioco erotico, mi fu facile passarle tra le gambe senza farmi notare. Giunsi con relativa facilità dall'altra parte della stanzetta, dove cercai una nuova crepa, la trova, vi passai attraverso. Ormai ero vicino all'uscita e, una volta all'esterno, qualcuno forse mi avrebbe trovato: un cliente ignaro, un metronotte, qualcuno di passaggio... una persona qualunque l'avrei trovata, ma le mie intenzioni furono tragicamente disattese quando, arrivato alla fine del mio viaggio, trovai un grandino, per me enorme, a sbarrarmi la strada. Evidentemente era progettato apposta, qui erano davvero prevenuti.

Mi appoggiai per terra, sul pavimento liscio, appoggiato alla parete e deluso per come i miei piani erano andati in fumo. Ero arrabbiato, arrabbiato con tutto il mondo, con me stesso, con Kaori, con Barbara: avevo fatto una promessa alla persona che amavo e ora non ero in grado di mantenerla. Sconfortato, ritornai sui miei passi. Se fossi morto in quel preciso istante, su un dio m'avesse fulminato o qualcosa m'avesse schiacciato poco mi sarebbe importato. All'improvviso un terremoto mi fece sussultare: la terra tremava e in lontananza cominciai ad udire quel singolare flop che già prima, entrando, avevo sentito. Erano i passi di Kaori, li avevo riconosciuti subito, ancor prima che l'ombra enorme della cameriera sbucasse dall'angolo: la visione fu ancora una volta sconcertante, sebbene ormai cominciassi ad abituarmi alle mie dimensioni, non mi ero ancora trovato con una gigantessa in posizione eretta che mi camminava incontro. Sembrava un grattacielo con le gambe, due splendide gambe, e due piedini deliziosi con tanto di infradito. Decisi che, se proprio me ne dovevo andare, quello era un buon modo per un feticista come me: cominciai a correre verso Kaori, mentre lei camminava verso di me, immaginando che in realtà fosse Cristiana; e a dire il vero, a conti fatti, entrambe avevano dei piedi non troppo diversi nella forma, quelli di Kaori erano appena un po’ più piccoli. La cameriera asiatica di certo non mi aveva visto, perchè il suo incedere non subì esitazioni. Ero certo di venire schiacciato a momenti, eppure la cameriera posò l'ultimo passo a meno di uno dei miei metri da me. Io stavo ancora correndo e andai a sbattere sul bordo dell'infradito con lo stomaco, dove mi arrivava. Presi una botta fortissima perchè, nello stesso momento, Kaori stava alzando il piede per un nuovo passo. Rimasi stordito dal colpo, caddi in avanti, sull'infradito. La cameriera aveva queste calzature un pelo più grande della sua misura, avanzava dello spazio tra il suo piede e il bordo della ciabattina, e in questo spazio rimasi agonizzante per un po’, sballottato ad ogni passo sulle sue dita sudate. La corsa si arrestò non molto tempo dopo: Kaori era andata in una specie di camerino, uno sgabuzzino, per posare uno scopa. Si sedette ad una sedia lì dentro e tolse i piedi dagli infradito. In quel momento notai il profondo solco arrossato lasciato dal cinturino in plastica di quelle ciabatte e che risaltava col candore del dorso delle splendide estremità di Kaori. La cameriera sollevò un piede e se lo portò tra le mani per massaggiarlo, evidentemente le doleva. Io ero rimasto sul suo infradito, in quanto non mi ero ancora ripreso del tutto. Ma, mentre Kaori stava per posare il piede giù, abbassò lo sguardò e mi vide. Spalancò gli occhi a mandorla e mi prese con molta grazia, sollevandomi all'altezza del viso <<E tu come diavolo sei finito qua??? Ti riconosco, sei l'amico di Barbara, Andrea, giusto?>> Mi scrutò attentamente, portandomi al cospetto degli occhi castani, grandi più della mia testa.

Mi girava scrupolosamente tra le mani, urtai anche il suo nasino mentre mi maneggiava e carezzava con premura. Ora che la vedevo al dettaglio mi sembrava molto più carina, e il mio riflesso più spontaneo e assolutamente incontrollato. <<Ah, quindi ti faccio arrapare! Forse non l'hai capito, ma non sono proprio quel tipo di ragazza a cui piacciono i maschietti...>> Lo avevo capito, ma che potevo farci? Una donna è donna anche quando sai che è lesbica. Continuò <<Ora dovrei riportarti da Barbara, suppongo: lei dovrebbe sapere come trattarvi>>. Io, che fino a quel momento avevo sottostato alla cameriera, mi ribellai, alzandomi sulla mia mano e agitando il braccio in segno di dissenso <<Quella puttana, ma lo sai cosa ha fatto agli altri, no?>>. Lei sembrò capire al volo le mie ragioni, fece una smorfia velatamente sofferente e disse <<Sai cosa ha fatto alla tua fidanzatina?>>. Io chinai la testa e annuii. <<E' vero, è crudele, a volte neanch'io so perchè lo faccio: il vecchio proprietario del locale permetteva alle persone di essere rimpicciolite solo se consenzienti,e, soprattutto, con l'obbligo di tornare normali dopo una serata di divertimento. E' una cosa che è sempre stata fuorilegge, ma da quando è morto e gli è succeduta la figlia è diventata assolutamente criminale: tutto adesso si svolge all'insaputa delle povere vittime del locale, il Kashima è diventato un luogo di vendette private. La stessa Barbara viene qui prevalentemente quando si stanca di un ragazzo: a quanto sarà arrivata, cinque? Sei???>> Nelle sue parole e nei suoi occhi potevo leggere l'amarezza, appariva sincera e io non avevo ragione di dubitare. Quindi aggiunse <<A volte vorrei mettere fine a questa follia, ma ormai ci sono dentro da un pezzo: denunciando il locale, ne farei le spese anch'io. E' per questo che non posso lasciare andare neanche te, che sei una delle tante vittime>> Sospirai rassegnato: mi ero già preparato a morire una volta e mi era andata bene, averla rimandata non ha fatto differenza. <<Quelli come te non sono per nulla peggio della maggior parte dei clienti del locale: prendi Barbara, quella stronza acida: bacini e abbracci appena arriva e poi nelle stanze mi tratta come l'ultima persona del mondo. E guardati, ancora peggio ha trattato te, che le sei amico, mi ha detto da parecchi anni! Non la odi per questo?>>. Annuii energicamente e a Kaori si illuminò il volto <<Bene, allora credo che stasera la tua amica insieme al dessert riceverà un thé molto speciale...>> Colsi al volo il piano di Kaori e provai una gran felicità: la mia vendetta, in qualche modo, si sarebbe compiuta, seppur solo parzialmente. Me ne sarei andato felice a riunirmi con Cristina.

Kaori mi rimise ai suoi piedi, in mezzo alle sue ciabattine. Si stava concedendo ancora qualche minuto di pausa, intanto teneva i piedi sui talloni lì vicino. Lei non era esente da colpe riguardo a quel che mi era successo, assolutamente no, ma volevo comunque esprimerle la mia gratitudine per il progetto che si era appena promessa di portare a termine e in più era anche la sola, la sola occasione che avevo per godere di quelle mie fantasie che avevo sempre ritenuto irrealizzabili.

Mi diressi verso i suoi piedini sotto il suo sguardo sorpreso, e, raggiunta la suola, la abbracciai e cominciai a leccarla. Era appiccicosa al tatto, ma, me ne accorsi solo ora, non puzzava affatto: il suo sudore, piuttosto, aveva un profumo frizzante, quasi dolce ma nemmeno smaccato. Appoggiai la faccia al suo tallone per baciarla, ma mi sembrò di essere inutile; così, per farmi sentire, affondai completamente la testa nelle carni morbidissime delle sue piante muovendo su e giù, come un gatto che fa le fusa. Lei finalmente sembrò accorgersi di me, anzi, pareva gradire il trattamento e faceva ciondolare rilassata le ditine pochi centimetri sopra la mia testa. Improvvisamente persi il sostegno del suo piede: la cameriera lo aveva allontanato e io ero caduta faccia in avanti. Nemmeno il tempo di rialzarmi che mi vidi prendere tra il suo alluce e il secondo dito e sollevare leggermente. <<Sai che questo non ti salverà, ma, se proprio vuoi saperlo, mi stai eccitando>>. Mi riabbassò appoggiandomi sul dorso dell'altro piede. <<Se vuoi continuare, massaggiami qui: l'elastico di queste ciabattine è terribile, massaggiami dove è rosso!>>. Il dorso del piede aveva una consistenza più dura, per massaggiarlo mi muovevo di continuo e provavo a picchiarlo. Mi sentivo un idiota e subito mi stancai. Mi fermai spossato, continuando però a baciarlo e leccarlo insistentemente. Kaori dall'alto mi osservava rallegrata e intanto, con molta discrezione, era andata a spostarsi gli slip con una mano per toccarsi. La bella asiatica alzò il tallone, cosicchè scivolai in basso. Finii sul suo alluce. Lei mi intimò <<Continua quassù!>>. Spalle al suo dorso, mi misi a sedere a cavallo dell'unghia senza smalto e mi sporsi in avanti per baciare e massaggiare la punta di questo dito. La posizione per me non era delle più comode, ma in qualche modo Kaori si stava divertendo e continuava a masturbarsi sempre più energicamente. Per la veemenza dei suoi spasmi di piacere, persi l’equilibrio dal suo piede e caddi proprio mentre raggiungeva l'orgasmo. In quel momento, presa dall'impeto della passione, sollevò quello stesso piede per schiacciarmi. Rimasi immobile schiena a terra, con il piede che mi venne addosso, senza però colpirmi in pieno: il busto e la testa infatti erano rimasti sempre tra il suo alluce e l'altro dito, sotto cui si trovavano le braccia, mentre le gambe erano sotto la pianta. L'impatto fu molto doloroso, pensai che mi avesse fracassato qualcosa, ma subito allentò la pressione, così rimasi semplicemente compresso sotto la suola delicata. Poi, senza dire niente, Kaori spostò il piede sempre tenendolo sopra di me. Lo fece guizzare all'indietro e andò a coprirmi interamente le gambe col suo alluce.

L'alluce mi lasciava scoperto proprio dall'inguine in poi e il mio pene, ancora eretto in posizione verticale, era premuto contro questo dito. Kaori cominciò a fare su e giù, carezzandomi il mio minuscolo organo con l'alluce. Io l'avevo appena fatta godere, ora lei mi restituiva il favore, concedendomi una sorta di ultimo desiderio. Pensavo che, con la forza che si ritrovava, avrebbe anche potuto schiacciarmelo. Invece alla velocità dei movimenti del suo alluce univa anche un'incredibile destrezza e precisione, per mio gran piacere. Ero rilassatissimo, sempre con le spalle a terra e le braccia allargate. Socchiusi gli occhi e provai a pensare ancora che quel piedino che si stava strofinando sul mio pene fosse di Cristiana. L'insolito foot job non tardò a sortire i suoi effetti: venni in breve tempo, schizzando sull’unghia di Kaori, che si fermò e si sporse verso il basso. Venne ad occupare gran parte del mio campo visivo con il suo viso leggermente arrossato dall'imbarazzo, il sorriso smaliziato e gli occhi brillanti. <<Hai attizzato anche me... sei stato il primo: io sono stata brava?>> Nonostante mi sembrava di non aver fatto nulla, compiaciuto per aver fatto godere anche lei che a certe esperienze non era avvezza, ricambiai il sorriso. Lei tolse completamente il piede da sopra di me. Quindi disse <<Ora devo proprio tornare a lavorare: mi spiace, mi ero quasi affezionata a te>>. Io rimasi sdraiato, senza accennare alcuna reazione. Lei mi guardò intenerita, mi sembrava sinceramente amareggiata per la morte che stava per infliggermi a malincuore. Eppure non aveva mai cambiato idea, non era mai parsa esitante e ciò mi faceva capire che non era la prima vittima che stava per fare... la cameriera mi prese in mano, portandomi all'altezza del petto. Strinse forte, molto forte. Urlai per il dolore intenso e pensai all'assurdo paradosso col fatto che era stata lei, un minuto prima, a farmi godere. Nello stritolarmi, però, non mi uccise, si limitò a rompermi tutti gli arti: avevo le ossa delle braccia delle gambe tutte rotte, forse lussate, e comunque prive di sensibilità. La morsa durò solo cinque secondi circa: poi Kaori allentò la presa. Mi guardò malinconica sul palmo della sua mano e mi ricordò <<Spero che tu non stia soffrendo troppo: non so, ma forse può aiutarti pensare che sto andando a farla pagare a una certa persona>>. La guardai per l’ultima volta negli occhi, mentre mi abbassava fino alla sua vagina. Si calò di nuove le mutandine e davanti a me apparve una macchia nera, simile nell’aspetto a un cespuglio di rovi.

L'effetto che fecero i peli pubici sulla mia pelle non smentirono l'impressione visiva: manco fossero spinosi, mi riempirono di graffi su tutto il corpo, mentre Kaori mi inseriva nella cavità partendo dalla testa. L'attraversamento per fortuna fu breve: in pochi secondi mi ritrovai completamente all'interno. L'ambiente nella sua vagina era caldo e morbido, ma completamente umido e buio. Sentivo dolori ovunque, sia per la morsa precedente che per il passaggio attraverso la peluria. Credevo che sarei rimasto molte ore in agonia chiuso lì dentro; invece, non appena Kaori si rialzò e fece i primi passi, le contrazioni interne della sua vagina cominciarono a sfinirmi. Capii che presto sarei stato stritolato completamente. La mia vita sarebbe finita al buio di una gigantesca vagina, ma la vivida speranza di ritrovare la mia amata illuminava questa mia estrema sofferenza.

Fine.




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