Marianna
Parte V inviata da DollGuy e caricata in data 30/Gennaio/2005 17:58:15
CAPITOLO 4
Osservando i veicoli corazzati, Marianna sentì di essersi innamorata a prima vista di quelle adorabili macchinine: le ricordavano le “micro-machines”. Uno sconfinato sorriso le apparve sul volto.
- Ma che carine! – pensò.
Abbassò lentamente la manona: la punta delle sue dita colpì il suolo davanti a loro con la potenza di un meteorite, sballottando quei giocattolini qua e là. Poi, con la massima delicatezza, usando una forza minima, appena superiore a quella di un bulldozer, le sue massicce dita penetrarono nel terreno al di sotto dei tanks. Così, li poté raccogliere, sollevando la mano, e appoggiandovi sopra gentilmente il grande pollice per tenerli fermi, proprio come aveva raccolto la moto-vedetta un’oretta prima.
Con suo grande piacere, la sottile corazza di questi nuovi giocattoli non cedette di tanto: sembravano i più resistenti che avesse maneggiato quel giorno. Decise che poteva rischiare di trattarli con un po’ più di disinvoltura.
Sollevò il pollice. Poi, tenendo la manona all’altezza dei seni, la inclinò leggermente. Sbilanciati dall’improvviso incremento di pendenza, i veicoli corazzati rotolarono impotenti lungo le sue dita per decine di metri. Quando furono arrivati all’altezza del palmo, la gigantessa raddrizzò la mano, arrestandone la caduta. La giovane era allegra oltre ogni dire: vedere che quei cingolati, progettati per sfidare i terreni più impervi, erano del tutto incapaci di far fronte ai più impercettibili movimenti della sua mano, era semplicemente esilarante!
Con la contentezza di una ragazzina che riceve in regalo un bel giocattolo nuovo, la colossa usò le punte delle sue enormi dita per muovere le minuscole macchine da guerra di qua e di là, per tutti i 70 metri per 70 del suo palmo. Dopo averli strapazzati così per un paio di minuti, li raddrizzò uno ad uno, rimettendoli sui loro cingoli. Quindi ne afferrò delicatamente uno, tra l’indice e il pollice, e se lo portò davanti al volto per esaminarlo, tenendolo all’altezza della bocca.
I poveri carristi, ammaccati e feriti a causa degli scossoni convulsi cui era stato sottoposto il loro mezzo, si rialzarono penosamente. Subito constatarono, con orrore, che la struttura del carro stava cedendo sotto l’immane pressione di quelle dita gigantesche. Presi dal panico, notando l’immenso volto davanti a loro, gli addetti al pezzo puntarono il cannone, già carico, e fecero fuoco; intanto il macchinista dava gas ai motori, sperando assurdamente di riuscire a fuggire.
Sentendo un piacevole solletico sulle enormi labbra, la ragazzona fu felicissima di constatare che quei giocattolini funzionavano ancora. Anche i soldati rimasti nel suo vasto palmo avevano ricominciato a sparare, solleticando le sue immense mammelle.
- Sono davvero un po’ più durevoli degli altri! – Pensò – Peccato, però: le loro armi sono persino più deboli di quelle degli elicotteri! Ma, in fondo, è proprio questo che li rende così adorabili! -
L’incommensurabile ragazza si sentiva sciogliere vedendoli affannarsi così tanto per ottenere dei risultati così miseri. Quegli esili cannoncini che si alzavano ritti verso di lei, poi, le facevano venire in mente altrettante erezioni, eccitandola ulteriormente. Per non parlare di quei minuscoli cingoli che ruotavano a vuoto: uno spettacolo semplicemente comico!
- Mmmhh! Siamo pimpanti, vedo! – Bisbigliò - Proviamo a vedere come ve la cavate se faccio un pochino più sul serio…-
Abbassò un po’ il suo titanico palmo. Agli occhi dei soldati, la vista di quelle tette grandi come montagne fu sostituita da qualcosa di ancora più grande: il ventre della ragazza.
Se le due poppe erano così smisurate da non riuscire a vederle per intero, questo nuovo spettacolo sfidava ogni immaginazione: davanti ai carristi si stagliava una distesa di pelle che sembrava non avere mai fine. Eppure, quella che i loro minuscoli, limitati occhi riuscivano a cogliere era solo una piccola parte dello stomaco di Marianna, vasto come un altopiano. I militari si sentirono più insignificanti che mai, smarriti di fronte a quella sterminata distesa di pelle. Lo sbarramento di fuoco cessò per un attimo.
Ora che i suoi seni non erano più bombardati, la gigantessa poté distendersi un po’ più indietro, e appoggiare gentilmente sulla tetta sinistra il tank che aveva tra le dita: adesso non c’era più il rischio che venisse colpito accidentalmente dai suoi commilitoni.
I cingoli stavano ancora ruotando furiosamente: appena fu lasciato libero, il minuscolo carro partì a razzo, puntando verso il titanico petto della donna, quasi 100 metri più avanti. Il pilota ebbe tutto il tempo di frenare, prima di schiantarsi. L’equipaggio si guardò intorno per capire dove diavolo fossero finiti. Non fecero in tempo a raccapezzarsi, che il “terreno” cominciò a sussultare violentemente, mentre una violenta bufera e dei tuoni assordanti riempivano l’aria.
La colossale ragazza non era riuscita a trattenersi dal ridere, vedendo quella formichina cingolata che percorreva faticosamente pochi centimetri di tetta, ancora più lenta degli elicotteri di prima. Quelle macchinine erano un vero spasso! L’unico difetto che avevano, era che erano troppo inconsistenti: riusciva a malapena ad avvertirne il peso sulla sua pelle sensibile. Non c’è da stupirsene: in fondo, il veicolo era un milione di volte più leggero della sua mammella.
Allungando un dito, si mise nuovamente a giocherellare con il carro, facendolo rotolare con delicatezza sopra l’ampia estensione del suo seno. Fortunatamente per i soldatini, quella specie di centrifuga non durò a lungo: Mari fu distratta da qualcosa che le stava sfiorando gentilmente il ventre. Gli altri tanks avevano ripreso a sparare.
La leviatana soppesò per un attimo le possibilità, poi prese una decisione: prese di nuovo il carro armato tra i suoi massicci polpastrelli, sollevandolo dal suo petto; poi socchiuse lentamente l’altra mano, intrappolando il resto dei veicoli tra le larghe pieghe del suo palmo; quindi si sdraiò all’indietro, distendendo le lunghissime gambe, e causando ulteriori scosse.
Anche coricata, quella mastodontica figura era ormai abbastanza vicina alla costa da risultare ben visibile: svettava sull’acqua per centinaia di metri d’altezza, lungo tutti i suoi 1700 metri di lunghezza. Era come se un nuovo promontorio avesse ricoperto Nisida.
In particolare, i ricchi proprietari delle ville panoramiche di Posillipo, situate proprio di fronte all’isola, avevano una visuale perfetta di quello smisurato corpo: molti di loro avevano chiamato più volte le redazioni dei giornali e delle televisioni locali, usando tutta la loro influenza e mobilitando le loro amicizie. Finalmente, alcuni tra i network più importanti avevano inviato dei cameramen a bordo di aerei ed elicotteri, per accertarsi del fenomeno.
Fu così che Marianna fece il suo debutto televisivo. Eppure, come aveva previsto l’agente dei servizi, quasi nessuno nelle redazioni riuscì a prendere sul serio quelle immagini. E quei due o tre direttori che ci credettero, decisero di non mandarle in onda, dopo aver ricevuto delle misteriose telefonate.
La titana, dal canto suo, non si era neanche accorta di quelle nuove zanzare.
Si sentiva benissimo: il sole stava iniziando a declinare, e non picchiava più tanto forte, e i pochi centimetri d’acqua che le lambivano il corpo erano piacevolmente rinfrescanti. Inoltre, le sembrava che ci fosse un gran silenzio: i suoni che la circondavano erano troppo flebili per giungere alle sue orecchie cavernose. Per un attimo, chiuse gli occhi e si godette il sentimento di pace e tranquillità che derivava da quelle sensazioni e da un senso di sicurezza assoluta. Poi, rivolse nuovamente la sua attenzione sui suoi microscopici prigionieri.
Rialzando la testa, posò di nuovo il primo tank sulla solita tettona. Per un attimo, pensò di aprire la mano, e di lasciar semplicemente cadere gli altri sul suo stomaco; ma poi pensò che quei cosini così fragili non ne sarebbero usciti incolumi, precipitando da un’altezza di svariati centimetri.
Così, aprì la manona a coppa, e raccolse i piccoli cingolati uno per uno, tra l’indice e il pollice, distribuendoli lungo il suo busto: uno sopra ogni mammella, uno in mezzo, un paio davanti, e gli altri due sul ventre, poco al di sotto dei seni. Poi, mise una mano dietro la nuca, e si godette lo spettacolo di quelle patetiche macchinine che scorrazzavano, lentissime, lungo il suo torace.
Gli equipaggi dei carri sul suo stomaco e sul suo petto erano totalmente disorientati: la loro visuale era mutata tante di quelle volte negli ultimi minuti, che non erano più sicuri di ciò che vedevano. Anche quelli che avevano riconosciuto il “suolo” su cui poggiavano per essere pelle umana, non riuscivano a capire su quale parte di quello sconfinato corpo si trovassero: le curve di Marianna erano troppo grandi perché riuscissero a distinguerle. Per questo motivo, avevano avviato i motori e avevano cominciato ad esplorare i dintorni, cercando di orientarsi, ed eventualmente di trovare un punto vitale da colpire.
Invece, i piloti dei cingolati disposti sulle sue poppe avevano una visuale migliore, dato che erano 150 metri più in alto dei loro colleghi: dietro di loro, la visuale era ostruita da quel capezzolo turgido, alto come una casa di almeno 6 piani, e posato su un’aureola più larga di un campo sportivo. Di fronte, la montagna di carne che era quella mammella, digradava dolcemente per un centinaio di metri, per poi scendere a precipizio; più oltre, si estendeva la vastissima pianura del suo petto, interrotta bruscamente, all’orizzonte, dal suo collo massiccio e dal suo viso imponente. La vista di quel volto impossibile che sorrideva ilare, era uno spettacolo insieme eccitante e terrificante. Quanto alle sue spalle e alle sue braccia, per quanto colossali erano troppo lontane per distinguerne i dettagli.
I carristi avrebbero voluto comunicare la loro scoperta ai commilitoni, ma le radio erano state le prime vittime delle attenzioni di Marianna. Così, decisero di passare direttamente all’azione. Avendo sperimentato l’inutilità dei loro proiettili contro quei mostruosi seni, vollero provare a bombardare il petto, sperando di colpirle il cuore.
Il “terreno” su cui arrancavano era solido: un carro armato di poche decine di tonnellate era troppo insignificante perché la pelle della gigantessa potesse fare una piega sotto il suo peso. Perciò, avrebbero dovuto avanzare celermente. Sfortunatamente, dovevano lottare per riuscire a mantenere il veicolo in assetto: la tettona si alzava e si abbassava rapidamente di decine di metri ogni volta che la ragazzona inspirava ed espirava, emettendo tremende bufere; il poderoso battito del suo cuore eccitato inviava gagliarde scosse lungo la sua carne; e la pelle era strattonata di continuo dalle pulsazioni delle sue vene. Per non parlare dei movimenti involontari dei muscoli del torace, che in condizioni normali sarebbero stati così lievi da risultare impercettibili: per i microscopici equipaggi, erano altrettanti piccoli cataclismi.
Dopo alcuni minuti, riuscirono finalmente a raggiungere il bordo della mammella: davanti a loro, c’era un baratro di 150 metri. Più in là, il mastodontico cuore di Marianna era chiaramente percepibile grazie al suo battito, assordante quanto una batteria di cannoni, nonostante le centinaia di metri di carne che lo coprivano. Bene o male, riuscirono a puntare i cannoni.
La colossale ragazza, nel frattempo, aveva continuato ad osservare, beata, l’esilarante spettacolo offerto da quei microbi: aveva intuito lo smarrimento di cui erano vittime, notando che vagavano senza meta; trovava semplicemente comica l’idea che quelle macchine da guerra, che avrebbero dovuto essere grandi e terribili, potessero considerare il suo petto come qualcosa di così sconfinato da perdercisi. Tanto più si era divertita, quando si era accorta delle difficoltà che stava loro procurando nella loro avanzata, semplicemente vivendo e respirando: quei veicoli, così inarrestabili e letali per i loro piloti, in confronto a lei erano così impotenti, così infinitamente deboli, che anche la più semplice delle sue funzioni vitali poteva costituire per loro un’insuperabile sfida!
- A quanto pare, sono diventata ancora più potente di quanto credevo! – pensò. Quel pensiero aumentò la sua eccitazione. Quasi senza accorgersene, aveva infilato due dita negli slip, e aveva iniziato a massaggiarsi la vagina. A questo punto, sentì un solletico ormai familiare: i cingolati sulle sue tette avevano iniziato a bombardarle il petto in corrispondenza del cuore.
- Oooohh! Ma come siamo ostinati! – Sussurrò ironicamente, rivolta ai due veicoli, investendoli con il tuono del suo mormorio – Ma non l’avete ancora capito che è inutile? Siete troppo deboli! E’ già tanto se riuscite a farmi il solletico! Beh, se proprio volete provare a farmi male – e a questo punto le scappò un roboante risolino, tanto assurdo le pareva quel pensiero – almeno cercate di colpire una parte più sensibile…-
Detto questo, si inarcò per sfilarsi gli slip. Il senso di invulnerabilità che provava era ormai tale da travalicare ogni modestia: com’era cambiata, quella ragazza così timida e insicura! E in meno di un paio d’ore!…In effetti, stava cominciando a sentirsi sempre più distante dalla gente: confusamente, cominciava a vedere sé stessa come una sorta di dea.
Il brusco spostamento del suo corpo, scaraventò in aria i suoi involontari compagni di giochi. Come aveva previsto, i tank affacciati sulle sue poppe esplosero all’impatto con il suo petto, non potendo reggere una caduta di quasi 200 metri. Sentì appena le esplosioni. Il carro che vagava nel lungo canyon tra quelle due montagne, invece, fu travolto da 2,5 milioni di tonnellate di mammella: la pressione fu tale che non poté neanche esplodere.
- Ooops! – Mormorò, dopo essere scoppiata a ridere. Poi scrollò le titaniche spalle. – Oh, beh…tanto ce ne sono altri…- disse.
Raccolse con noncuranza uno dei carri superstiti, catturandolo mentre correva in preda al panico lungo la base della sua tetta destra. Tenendolo amorevolmente tra l’indice e il pollice, se lo portò all’altezza dell’enorme clitoride, eretto ed ormai esposto a tutti, comprese le telecamere dei giornalisti.
- Su! Coraggio piccolini! Non siate timidi! Volevate sparare? Sparate! – li incitò. Ma i carristi erano troppo storditi dallo strapazzo cui erano stati sottoposti e dall’incredibile vista di fronte a loro.
Impaziente, Marianna decise di stuzzicarli.
– Cosa c’è? La mia piccola passerina vi spaventa? Oooohh! Gli insettini hanno paura che la mia farfallina gli faccia la bua! No, non piangete, piccolini della mamma! Lei è buona, non vi mangia mica!…Beh, almeno non subito…- Scoppiò a ridere. Si stava divertendo da morire.
- Su, tesorini, fate contenta Mariannona vostra! Non preoccupatevi! Mica mi arrabbio se mi colpite: siete troppo piccini per farmi male! Con quelle armi così minuscole e patetiche, poi! I vostri proiettili sono così delicati che riescono appena appena a farmi un piacevole solletichino…Oh, la mia bambina ha taaanta voglia di essere solleticata, dolcemente come sapete fare voi! Su, soldatini, su! Un piccolo sforzo! Se fate i bravini, e sparate sulla sua figa, la mamma poi vi dà una bella cosa: un bacetto! Anzi, dopo vi lascio pure andare…se sopravvivete al bacio, è chiaro! -
I carristi si misero all’opera, più nella speranza di far cessare quella voce rintronante, che per la rabbia di essere presi in giro così: puntarono su quel colossale clito il cannone e le due mitragliatrici e aprirono il fuoco.
- Oh! Mi pare di sentire qualcosa, ma non ne sono sicura…- disse la dea – Non avete ancora cominciato a sparare? Oppure siete ancora più impotenti di quanto credessi? -
Tirò fuori la manona, e portò il carro all’altezza del viso: concentrandosi, riuscì a scorgere dei microscopici flash, e a sentire che qualcosa le sfiorava lievemente il naso. La colossa ne fu intenerita.
- Poooveri piccoli! – mormorò, allungando le labbra, con il tono che avrebbe usato con un cucciolo - Teneri, siete! Voi ci stavate provando, a farvi sentire! E’ solo che siete troooppo deboli: neanche il solletico riuscite a farmi, coccolini di mamma! Che cattiva che sono stata! Ce la stavate mettendo tutta, e io neanche me ne sono accorta! Che carucci! – Li avvicinò a pochi centimetri dalle labbra, e schioccò un bacio, assordandoli – No, non piangete, tesorucci! Avete paura che Mariannona vi sculacci il popò? Ma no! Non sono arrabbiata! Mica è colpa vostra, se siete così deboli e indifesi! Ma guarda! Ci state ancora provando? Che dolci! Quasi non vi sento, però apprezzo il pensiero…Sapete che vi dico, amorucci belli? Se volete possiamo provare un’altra volta: magari questa andrà meglio…-
I carristi, storditi, terrorizzati, arrapatissimi, continuarono a sparare all’impazzata. Marianna sorrise.
- Lo prendo come un sì – disse. E calò di nuovo il veicolo verso la vagina. Questa volta, però, ficcò il carro armato all’interno, poco oltre le grandi labbra, per poi lasciarlo lì.
- Ecco: magari, se provate ad andare più in fondo…-
La gigantessa era ormai andata oltre lo stato iniziale di eccitazione: quel senso di onnipotenza che provava ormai verso i soldati si stava rivelando un potente afrodisiaco, ed ora era tutta bagnata. Il cingolato si ritrovò, quindi, ad affondare nei suoi fluidi femminili, mentre veniva agitato qua e là dalle contrazioni dei possenti muscoli vaginali.
L’equipaggio avviò i deboli motori, cercando di districarsi da quella immensa grotta carnosa. Inutilmente: i piccolissimi cingoli scivolarono sulla mucosa bagnata.
La ragazzona, sentendosi accarezzare delicatamente nelle sue zone erogene, si eccitò ancora di più: un’ondata di marea travolse la minuscola macchina da guerra, minacciando di portarla via con sé, fuori dalla vagina e verso una vertiginosa caduta.
- Ehi! Non vi sento più! Dove siete finiti? – chiese la titana.
Marianna infilò l’indice nella vagina, cercando a tastoni il suo giocattolino sessuale, spostando di qua e di là le pareti della vulva. Fu inutile: il carro armato si era perso in quella caverna profonda 150 metri.
Per i microscopici prigionieri fu un cataclisma: il titanico indice della giovane li sballottò a velocità folle, mandando il loro fragile mezzo a sbattere contro le impenetrabili pareti vaginali, ammaccandone ed incrinandone la corazza, e strapazzando a morte l’equipaggio. I fluidi di Marianna cominciarono ad inondare la cabina. Quando quell’enorme dito si schiantò sul tank, schiacciandolo all’istante, la morte fu per loro quasi una liberazione.
La colossa, dal canto suo, non aveva sentito niente, ma, a forza di muovere l’indice, si era eccitata ancora di più.
Rivolse lo sguardo verso i 3 carri superstiti: due ancora avanzavano con fatica sul suo busto. Il terzo aveva sparato tutto il tempo contro la parte inferiore del suo seno sinistro: la ragazzona non se n’era neanche accorta.
- Beh, formichine mie, mi sa che uno solo di voi non è sufficiente per soddisfare la mia passerina…- disse, con un sorriso ironico - Ho un idea! Perché non provate tutti insieme? -
Detto questo, li prese e li infilò nella sua monumentale figa, uno ad uno. Questa volta, per buona misura, li infilò più a fondo, nei pressi del suo punto G. Poi cominciò a masturbarsi selvaggiamente.
Anche in questo caso, non è che sentisse molto: anche se avesse potuto percepire la presenza dei carri, le sue dita erano troppo più potenti di loro, e la distraevano dai suoi giocattoli. Ma non aveva importanza: l’idea di avere lì dentro tre carri armati veri, eppure tanto piccoli e leggeri da non riuscire a sentirli, era più che sufficiente ad arraparla.
Marianna venne, e per Nisida fu l’apocalisse: l’isoletta si sgretolò e precipitò in mare sotto i colpi del bacino della dea, che andava su e giù, sterminando al primo colpo tutti coloro che vi si trovavano. I terremoti che ne conseguirono diedero vita a maremoti quali non se ne erano mai visti, in zona. Le urla di piacere della colossale ragazza furono udite a centinaia di chilometri di distanza; la potenza dei suoi polmoni scatenò tempeste portentose, spazzando via i velivoli delle TV; la sua passera riversò in mare un’alluvione di liquidi vaginali.
Poi, finalmente esausta, si coricò, e si addormentò lì in acqua, sotto il caldo sole pomeridiano.
Continua...
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