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Marianna

Parte VI inviata da DollGuy e caricata in data 25/Giugno/2005 19:47:25


La flotta era schierata davanti a lei in assetto da battaglia.
Marianna osservò quei giocattoli che galleggiavano di fronte a lei, movendosi impercettibilmente nell’acqua profonda pochi centimetri: il più grande, la portaerei, non misurava più di 30 centimetri. Lunga e piatta com’era, le ricordava quei righelli che usava a scuola da bambina.

Incuriosita, si chinò per osservarli meglio. Oltre all’ammiraglia, c’erano numerose navi di scorta: 5 incrociatori lancia-missili e circa una dozzina di cacciatorpediniere. Alcune imbarcazioni di servizio seguivano la squadra principale. Alla flotta americana si erano unite numerose unità della Marina Italiana, prevalentemente cacciatorpediniere e moto-vedette, quasi invisibili tanto erano piccole. Tutte le navi ondeggiavano ancora per via delle onde causate dai movimenti della gigantessa. Al di sopra dei battelli svolazzavano alcuni stormi di aerei ed elicotteri.

La colossa allungò la manona destra per raccogliere un cacciatorpediniere: la barchetta non misurava più di 5 centimetri, e venne completamente ricoperta dalla gigantesca mano di Marianna. Delicatamente, la dea chiuse le dita intorno alla minuscola nave, racchiudendola tutta intera: era così piccola da entrare comodamente nell’incavo prodotto dal suo titanico pugno. Quindi, portò la mano all’altezza degli occhi con estrema lentezza, per non ferire i piccoli marinai, e la aprì con il palmo rivolto all’insù.

Come al solito, l’inimmaginabile ampiezza e velocità dei movimenti della dea colse di sorpresa gli omini di tutta la flotta. L’equipaggio del cacciatorpediniere non ebbe neanche il tempo di rendersi conto della situazione: una massa enorme era piombata loro addosso, infrangendo il muro del suono; quindi la loro nave, lunga più di 50 metri, era stata completamente avvolta da quella cosa immane, immergendo i militari nel buio più totale; la cosa era così spessa da bloccare persino le onde elettromagnetiche, rendendo così inutili la radio e il radar. Dopo essere stata sballottata da quella cosa, con gravi danni alle torrette, la loro imbarcazione era stata violentemente strattonata verso l’alto: tutto l’equipaggio era stato schiacciato al pavimento dalla terribile accelerazione. Tutt’ad un tratto, la nave si arrestò bruscamente, e la cosa che li intrappolava si aprì: davanti a loro, si stagliò l’impressionante spettacolo dello sconfinato e sorridente volto di Marianna. La ragazzona osservò attentamente quel “modellino”: era così carino, così piccolo e indifeso! Era più corto di quanto il suo palmo fosse largo: sperduta in mezzo alla vasta distesa della sua mano, la nave sembrava ancora più piccola.

Sforzando gli occhi, poteva distinguere appena degli omini, più piccoli di formiche, che si muovevano sul microscopico ponte. La ragazzona sorrise: quei marinai erano così buffi, mentre arrancavano così lentamente per coprire uno o due centimetri di distanza! Poi sentì un solletico ormai familiare sulle labbra e sul naso: l’equipaggio le stava sparando addosso con tutte le armi che non fossero state danneggiate dalle sue dita indelicate.
Sorridendo, la gigantessa afferrò la nave tra il pollice e l’indice della mano sinistra, deformandone la chiglia; quindi se la portò alle labbra, per baciarla. I marinai furono sballottati furiosamente lungo il trasporto; alcuni furono scagliati fuori bordo, e andarono a schiantarsi contro il reggiseno della colossa, dopo un volo a precipizio di 300 metri; altri furono schiacciati dalle paratie, sformate dall’irresistibile pressione delle sue dita. Quanto ai superstiti, ebbero appena il tempo di vedere quei due immensi labbroni, ciascuno dei due molto più grosso della nave, contro il quale furono scagliati con tremenda velocità e potenza. Compressa tra le dita e le labbra, la cacciatorpediniere fu ridotta in pochi attimi ad una massa informe di metallo.

A questo punto, la flotta aprì il fuoco, con tutto ciò che avevano.
Per Marianna, fu come essere investita da una pioggia di granelli di sabbia.

Il senso di potenza e di eccitazione tornò, più forte di prima:
La giovane non poteva vedere la flottiglia di sommergibili, ma sentì qualcosa che le solleticava le dita dei piedi. Mosse le dita. Il solletico cessò per qualche attimo, poi riprese. Incuriosita, Marianna si accovacciò, ignorando il bombardamento, e scrutò l’acqua. Non vide nulla: malgrado le sembrasse profondo pochi centimetri, in realtà il mare raggiungeva in quel punto una profondità di decine e decine di metri, e la luce del sole non riusciva a penetrarvi fino in fondo. Marianna allora ispezionò l’acqua con le dita della mano destra, fino a che non sfiorò qualcosa, come il guizzo di un pesce. La giovane pescò l’oggetto con le dita e se lo portò al volto: era un sottomarino, lungo poco più di 5 centimetri.

Il capitano del sommergibile aveva dato l’ordine di lanciare i siluri di prua, contemporaneamente ai suoi colleghi in superficie, in particolare contro quell’alluce, più grosso del sottomarino stesso. Dopo l’impatto, però, contrariamente a quanto sperato, invece di cadere, la gigantessa s’era limitata a muovere i ditoni, causando un maremoto localizzato. Ripresisi dagli scossoni, i marinai avevano prontamente riaperto il fuoco. Dopo qualche secondo, il sonar segnalò che 5 enormi oggetti avevano impattato con la superficie dell’acqua ad una formidabile velocità. L’equipaggio non ebbe il tempo di reagire, che le acque furono smosse da quelle 5 cose colossali, ancora più furiosamente di quanto avessero fatto i massicci ditoni di quei titanici piedi. Andando avanti e indietro, le cose urtarono violentemente contro il mezzo: la struttura venne danneggiata, e l’equipaggio all’interno fu sballottato contro le pareti. Poi, com’era successo per il cacciatorpediniere, il natante fu strappato al mare con inaudita violenza.

- Ma guarda che bel pesciolino ho pescato! – Mormorò la ragazzona, sorridendo. Le pareti metalliche della sua piccola preda rimbombarono del suono della sua voce. Dato che il sommergibile sembrava un po’ più solido degli altri giocattoli che aveva avuto, decise di tenerlo da parte. Ma dove poteva metterlo?

Lo accostò al suo petto per confrontarlo con la scollatura: anche se confrontato solo con la parte lasciata scoperta dal bikini, il natante appariva semplicemente microscopico. Per un attimo pensò di infilarlo là dentro, ma scartò l’idea, in quanto non era sicura che avrebbe retto alla pressione delle sue tette. Rifletté per un attimo, ignorando la pioggia di proiettili che le solleticava la pelle. Poi le venne un’intuizione, e se lo infilò dietro l’orecchio destro, come se fosse un mozzicone di matita, per poi coprirlo lasciandovi cadere sopra la sconfinata massa dei suoi spessi capelli, in modo da proteggerlo.

Rivolse quindi nuovamente lo sguardo verso la flotta, che la stava ancora attaccando.

Continua...


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