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cesare ha inviato un messaggio dal titolo:
la terza parte della storia Una normale giornate. fatemi sapere se vi piace. ed ha ricevuto
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messaggio inviato in data:
29/Maggio/2007 21:09:17
Era primavera. Dalle nostre parti i primi caldi non si fanno attendere più del necessario, e talvolta piombano inaspettatamente proiettando il clima e la vita quotidiana verso la tanto sospirata estate.
Marta, con la madre e le sorelle, aveva lasciato la villa estiva in cui trascorrevano piacevolmente le vacanze, insieme con i cugini che proprio in occasione delle vacanze le raggiungevano, per trasferirsi nella casa in città, in cui trascorrevano invece i lunghi mesi freddi. La mia condizione non era mutata, e fra alti e bassi il mio insolito rapporto con Marta proseguiva con le sue stranezze e incertezze. Soprattutto per me ogni giorno era come una sfida, non sapevo se mi sarei addormentato ancora ai piedi della mia ragazza o di una semplice diciottenne che amava tenere ai suoi piedi un ragazzo di soli 10 cm. A dire il vero nelle ultime settimane la nostra storia aveva subito numerose crisi. Ovviamente la colpa non era imputabile a nessuno dei due, ma solo all’assurda situazione che ci trovavamo a vivere. Credo però che la causa principale di questi momenti difficili fosse l’impossibilità di avere rapporti sessuali. Tale bisogno era avvertito in misura crescente e pressante da Marta, che non aveva mai avuto prima esperienze in tal senso ed era ossessionata dal desiderio di provare emozioni fino a qual momento a lei ignote. Certo la severità della madre, che le aveva impartito un’educazione rigida proibendole categoricamente di avere rapporti sessuali e prospettandole la verginità come uno dei valori più alti, aveva certamente influenzato la mia stella, la cui idea di fidanzamento era limitata alle solite tenere e caste effusioni d’amore. Probabilmente fu il mio desiderio di averla, di possedere le sue emozioni, di controllare il suo piacere a contribuire all’esplosione della sua curiosità. Infatti già da qualche mese, nonostante lo strumento del laccio legato all’alluce per impedirmi di risalire il corpo perfetto di Marta, insieme, come due complici innamorati, spesse volte avevamo eluso la misura di sicurezza. Durante la notte scioglievo i nodi ai miei polsi e correvo fra le gambe del mio amore. Marta si era lasciata convincere e piacevolmente si prestava ai miei giochi; scostava le mutandine porgendomi la sua vagina profumata e gigantesca. Accarezzavo tutta la pelle intorno, e nonostante le dimensioni ridotte delle mie mani dovevo suscitare in lei un effetto devastante, dal momento che la sentivo ansimare e respirare affannosamente. Quando poi massaggiavo il suo clitoride il suo corpo era preda di tremori di godimento, sussultava per i gemiti di piacere che non poteva emettere per non svegliare la madre e le sorelle. Amavo bagnarmi con lei, spesse volte mi spingeva dentro la sua vagina presa da un irrefrenabile desiderio di sentirsi penetrata, posseduta da un uomo. Quando finivamo sembrava però non calcolarmi, non curarsi del fatto che si era eccitata insieme al suo ragazzo. Si limitava ad attendere che mi fossi nuovamente assicurato al suo alluce e si riaddormentava, senza proferire parola.
Negli ultimi giorni le crisi degenerarono. Spesso Marta mi urlava in faccia per futili motivi, alcune volte anche senza un alcun motivo. Questo suo strano atteggiamento aveva incuriosito anche sua madre e le sue sorelle, le quali, impietosite dalla mia costante umiliazione, avevano cercato di parlare con Marta, di farla ragionare, per capire le ragioni di questo suo improvviso inasprimento verso di me. Ma tutti i tentativi erano stati vani. Marta sembrava ignorarle, e le rare volte che acconsentiva a dare delle risposte erano delle vere e proprie offese verso di me. Una volta addirittura, all’ennesima domanda scaturita da una sua scenata, si tolse il pesante sandalo di legno abbassò il suo meraviglioso piede su di me e disse a gran voce: “ma cosa c’è da capire? Vi sembra così strano che tratti così male uno schiavetto di queste dimensioni?non è un essere umano” e poi aggiunse: “Forza leccami i piedi” e sollevato il piede me lo porse. Io obbedii al suo comando e inginocchiandomi ai suoi piedi li leccai fin quando non mi spinse di lato con quello stesso piede, si rimise il sandalo e uscì di casa. Era stata la dimostrazione più palese e significativa delle sue ragioni. Era ormai evidente che non mi considerava più il suo ragazzo, forse neppure un uomo, ma solo un essere da sottomettere e umiliare. Le sorelle erano troppo imbarazzate per esprimere qualche commento. La madre invece si chinò su di me, con l’indice della mani destra mi scostò i capelli dalla fronte e mi guardò con uno sguardo misto di commiserazione e comprensione; poi mi prese tra le mani e mi poggiò sul tavolo della cucina( in cui potevo salire solo per mangiare) mentre lei continuava a sbrigare le solite faccende di casa.
Passarono alcuni giorni senza che la situazione fosse mutata. La cosa assurda era che continuavo a dormire legato all’alluce di Marta, la quale spesso mi ordinava di baciarle e massaggiarle i piedi. Ma ciò non cambiava di nulla uno stato che ormai sembrava essere irreversibile.
Il colpo più duro tuttavia lo ebbi quando cominciai a dedurre dai suoi comportamenti e da i suoi atteggiamenti che si frequentasse con un ragazzo. Un ragazzo di dimensioni normali. Ciò che avevo sempre e maggiormente temuto si stava concretizzando. Marta si stava innamorando. Ogni cosa sembrava ormai perduta, ogni speranza di risollevare quella situazione scomparsa. Non potevo sapere che sarebbe stato invece questo suo innamoramento improvviso a riaccendere la fiamma del nostro amore. Marta non stava più a casa, veniva solo a pranzare e a dormire. Non studiava e non cenava più con la mamma e le sorelle. Di me si era totalmente dimenticata. Usciva di casa sempre truccata e ben vestita, non lasciava nulla al caso. Le poche ore che trascorreva a casa le passava attaccata al telefono a parlare con questo Giò. Odiavo quel nome e la persona che rappresentava. Spesso tornava a casa con pupazzi e regalini, sempre felice e sorridente. Evidentemente stava vivendo tutto quello che io non ero più in grado di darle. Prima che uscisse la seguivo per casa, quasi strisciavo ai suoi piedi per catturare anche solo per un istante l’attenzione di quella bellissima gigantessa. Solo un paio di volte, mentre era in bagno, scalza e ferma a truccarsi, allungò la gamba dietro di se fino a concedermi di appoggiarmi alla sua pianta del piede. Forse non si rendeva neppure conto di quello che faceva, erano solo dei residui di memoria, quasi gesti mnemonici che era abituata a compiere verso di me. Fortunatamente portò giò a casa solo una volta. Ebbi il severo ordine di stare fermo sul tavolo, giusto il tempo di presentarmelo. Francesca, la sorella più grande di Marta, capì l’insopportabile umiliazione che stavo subendo, così mi avvicinò a se e mi tenne fra le sue mani, quasi a proteggermi da quella situazione. Osservando minuziosamente quel ragazzo mi accorsi che nella tasca posteriore dei pantaloni aveva un pacco di preservativi. Li avrebbe usati con il mio amore. Non dissi nulla, per non violare quell’ordine che mi era stato impartito. I due fidanzati uscirono di casa mentre io fui riposto sul letto di Marta, ormai solo la mia padrona.
Era notte tarda quando Marta rincasò. A differenza delle volte precedenti non era di ottimo umore, anzi sembrava pensierosa, a tratti col pianto strozzato in gola. Mi accorsi che aveva difficoltà anche a camminare. Con estrema attenzione si sedette sul letto, ma anche seduta avvertiva fastidio. Infine si distese e provò ad addormentarsi. Ma non era tranquilla, anzi si agitava ripetutamente nel letto. Si toccava fra le gambe, sulla vagina. Poi scoppiò in un pianto silenzioso. Io mi avvicinai cautamente a lei, intimorito da una sua eventuale violenta reazione, ma voglioso di consolarla. Appena fui giunto all’altezza del petto le chiesi a testa bassa cosa avesse,cosa fosse successo e lei inaspettatamente rispose singhiozzando: “questa sera avevo deciso di fare l’amore per la prima volta. Sembrava fosse tutto perfetto. Inizialmente era fantastico, mi piaceva da morire e l’abbiamo fatto per tante volte. Poi ho cominciato ad avvertire male alla vagina, un dolore insopportabile e l’ho pregato di fermarsi. Lui si è fermato, però ha voluto continuare col mio sedere. Io pensavo che fosse normale e gli ho detto che volevo. Già da subito mi ha fatto male ma non ho detto nulla, per paura di sembrargli una bambina. Ha continuato per molto tempo e ora mi fa male da impazzire. Poi in macchina mentre mi stava riportando qui, e mentre io stavo morendo dal dolore, ho pensato a te. “ Questo racconto avrebbe dovuto distruggermi, annientarmi. Ed in effetti lo fece, ma solo in parte. Ero conscio che si trattava di un dolore che dovevo subire, a causa della mia condizione. Ma forse avevo ancora qualche speranza di riavere Marta. Le chiesi, quasi senza volerlo: “mi trattavi così male solo per via del sesso?” e lei annuì con la testa, poi aggiunse:”temevo che non avrei mai provato quello che tutte le mie compagne descrivono incantate, tutto il resto non mi importa, io ti amo e non mi importa se sei alto solo 10 cm e dormi ai miei piedi, perché mi piaci così!”. Fu sorprendente per me sentire queste parole. Ma non ebbi tempo di contemplarle. L’amore della mia vita piangeva ancora per il dolore, le sue lacrime non cessavano di scendere e solcare i suoi zigomi. Ripeteva in continuazione di sentire la sua vagina bollente e di voler del ghiaccio. E fu a questo punto che il mio genio si accese e raggiunse il culmine. Dissi a Marta di andare a prendere una carota da frigorifero. Ovviamente lei non capì il motivo di questa richiesta, ma non potè resistere alle mie insistenze. Così si alzò a fatica dal letto, si diresse scalza e con solo le mutandine addosso verso la cucina e dopo aver preso l’ortaggio dal frigo mi raggiunse sul letto. Si distese e mi ritrovai ai suoi piedi. Mi avvicinai alle sue piante rimanendo per alcuni secondi estasiato dalla loro bellezza e incantevolezza. Poi le mosse, facendomi cadere indietro, ma senza farmi male e mi disse: “cosa dobbiamo fare con questa?” tenendo in mano la carota. Io risposi: “ amore scusami per averti fatto alzare, sarei andato io a prenderla ma avrei impiegato un’ora solo per arrivare in cucina, e non avrei potuto neppure aprire il frigo” Marta rispose: “non preoccuparti, non fa nulla”. Non avevo la minima idea di quello che stavo facendo, ma confidavo dentro di me che sarei riuscito ad alleviare le sue sofferenze. Le dissi: “Apri le gambe e fidati di me, tanto puoi fermami in qualunque momento. Appena sei comoda passami la carota.” Secondo me Marta aveva intuito cosa volessi fare, ma maliziosamente faceva finta di ignorare i miei propositi. Non appena si mise comoda e aprì le gambe io corsi fino alla sua vagina. Era molto arrossata, ma non sembrava irritata. Si trattava solo di un rossore dovuto all’estrema sollecitazione che aveva subito qualche ora prima, e peraltro si sentiva il calore. Doveva davvero sentirsela bollente. Le chiesi di passarmi la carota e , non senza qualche difficoltà, riuscii a tenerla fra le mani. Era pesantissima, ma la forza dell’amore e del desiderio mi aiutarono non poco. Cercai di essere meno goffo possibile, per non rovinare quel momento che poteva sancire la nascita di una nuova vita per me, ma soprattutto per il nostro rapporto. Marta fece scivolare le sue mutandine lungo le sue lunghe e belle gambe fino alle caviglie, per poi gettarle a terra. Impietrito davanti quel corpo nudo e gigante cercai di massaggiarle un po’ le labbra con le mani, poi mi dedicai al clitoride e quando mi accorsi che la mia dea si era eccitata presi il mio strumento freddo e delicatamente la penetrai! Marta si irrigidì per poi abbandonarsi ad un senso di quiete e di rilassamento, poi di piacere e di eccitamento. Quando la carota fu ben dentro di Marta la tirai fuori, poi la rientrai. Il ritmo non era elevatissimo, ma costante ed equilibrato. Ciò mi fu confermato dal fatto che Marta cominciò a toccarsi i suoi meravigliosi seni. Avrei voluto poter leccare i suoi capezzoli fulgidi, ma non potevo allontanarmi, cosi mi limitai a continuare a immettere in lei quel piacere che credevo mai avrei potuto infonderle. Fu però la mia dea a sorprendermi e stupirmi, un po’ come io avevo appena fatto con lei. Infatti mi afferrò con le sue dita e mi catapultò proprio sopra il suo seno, spingendomi poi sul capezzolo indurito. Non esitai neppure un secondo a leccarlo, baciarlo e accarezzarlo. Mi sembrava di sognare ma quel momento non mi consentiva di abbandonarmi a pensieri o riflessioni, ma solo di dedicarmi al mio amore e ad accrescere il suo piacere, che continuava ad aumentare. Come del resto il mio. Non ci volle molto prima che Marta, che nel frattempo continuava a ritmare dentro di se la fredda carota, si accorgesse della mia eccitazione. Aprì gli occhi per vedere ciò che aveva solo avvertito con le sue mani. Vide che il mio pene era duro come la roccia, eretto e pulsante, ansioso solo di scaricare giorni e giorni di sofferenza e attesa. Non ci fu bisogno di pronunciare alcuna parola per capire che dovessi salire sul palmo della sua mano, la quale mi porto alla bocca di Marta. Avvicinò le sue labbra al mio pene e lo afferrò dolcemente proprio fra di esse, solleticandolo poi con la punta della lingua. Iniziò così a farmi il più bel pompino che un uomo abbia mai ricevuto nella storia dell’umanità, muovendo quelle labbra a forma di cuore e tenendo i suoi occhi semi chiusi. Raggiunsi l’orgasmo esattamente nell’istante in cui anche lei lo raggiunse. Entrambi per un istante fummo uniti in un solo spirito, fummo una sola anima e un solo corpo. Venni dentro la sua bocca, ma ciò non sembrò infastidirla assolutamente, anzi potei notare come soddisfatta si stesse leccando le labbra. Io ero esausto, sfinito ma felice e appagato. Marta sembrava più sollevata, meno agitata e più tranquilla. Estrasse la carota e mi disse sottovoce: “vado a rimetterla a posto” e ridendo si avviò verso la cucina. Non passarono che pochi secondi da quando si alzò dal letto che io piombai in un sonno profondo e irresistibile. Marta accortasene fece piano nel distendersi per non svegliarmi.
Il sole era sorto da pochi minuti quando i suoi tiepidi raggi illuminarono soavemente la stanza in cui dormivamo. Non volevo svegliarmi, per non dover prendere nuovamente coscienza di quella realtà crudele, ma istintivamente aprii gli occhi. E quello che vidi fu celestiale: il viso di Marta, con un’espressione che non avevo mai visto prima. Sembrava quasi che ridesse nel sonno. E anche io non potei fare a mano di sorridere, capendo che qualcosa era finalmente cambiato. Mi ero addormentato accanto a lei, non più ai piedi, ma accanto la sua bocca, i suoi occhi, il suo naso. Avrei visto i suoi occhi riaccendersi al risveglio e avrei potuto darle il bacio del buongiorno. Fu bellissimo vederla guardarmi felice e riempirmi di baci e parole dolci. Era tornata la mia ragazza, nonostante per me restasse sempre una regina, la mia padrona. Non volevo pensare al futuro. Almeno in quel momento volevo godere della mia felicità. Solo il tempo sarebbe stato arbitro del mio destino.