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fagoshi ha inviato un messaggio dal titolo:
Brutto. Come la cacca. ed ha ricevuto
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messaggio inviato in data:
24/Novembre/2004 23:17:21
'sera... è un pezzo che non mi si sente, anche se – ogni tanto – mi sono affacciato sul sito.
Ho avuto l'ispirazione stanotte, ho potuto scrivere per tutto il giorno ed ho finito solo adesso.
Non voglio rileggere il racconto, poiché va a finire che decida di non inviarlo, ché troppo lungo, triste o noioso e ripetitivo.
Ma lo lascio decidere a voi tutti... statemi bene – e benvenuti ai nuovi arrivi! – ed arrivederci...
Ero brutto, molto brutto.
O no?
Fatto sta che le mie coetannee hanno sempre preferito qualsiasi altro a me, per qualsiasi relazione.
Già dalle elementari avevo solo amici maschi che mi sfruttavano sui compiti e cercavano di tirarmi su il morale.
La loro, però, era un'amicizia molto particolare, dovuta proprio al mio aspetto.
Dava loro molto piacere sapersi più belli, li soddisfava vedermi sempre solo quando scherzavano con le amichette; questo ancor più alle scuole medie.
Non parliamo delle superiori: i primi amori, che alle medie erano per lo più curiosi e sentimentali, qui divenivano più “concreti”, a me erano comunque negati.
'ste ragazzine mi guardavano, qualcuna aveva espressioni di compassione sul volto, ma nulla più; poi andavano con i loro amici, dimenticandomi.
Feci l'università di chimica – ovviamente anche lì aggirato regolarmente dalle ragazze – e mi buttai a capofitto negli studi.
Studiavo come un matto, era un modo di non pensare a loro, quelle misteriose quanto bellissime creature, le femmine.
Mi laureai a 23 anni col massimo dei voti e la lode.
Stranissimamente l'unico posto che trovai era in un laboratorio sperimentale come assistente, il dramma era che oltre a rimettere a posto le provette e controllare alcuni processi di sintesi non avevo null'altro da fare.
Ed il pensiero delle ragazze allora più che mai mi tormentò.
Non sapevo nemmeno com'erano fatte, se non dalle videocassette che avevo cominciato da poco a vedermi assiduamente.
Pian piano cominciai a desiderare qualsiasi cosa da loro, anche che mi sfiorassero solamente.
Ma ciò non accadeva mai.
Fino ad un dì.
Quel dì, uno dei miei giorni liberi, avevo deciso di farmi una delle mie giornate di boschi, ovvero uscire con uno zainetto di provviste in spalla la mattina presto a girovagar per i boschi e tornare la sera.
Ero già da ore in un boschetto molto carino, così carino che spesso molti facevano dei pic – nic sui piccoli spicchi di prato che si aprivano di tanto in tanto tra l'alberume buio e cupo.
Non avevo di che preoccuparmi: il tempo non era bello – molto nuvoloso ed un poco umido – tanto che lasciava temere un acquazzone... non ci sarebbe stato nessuno a far finta che quello a non esserci fossi io.
Invece qualcuno c'era: una famigliuola che stava sbaraccando proprio in quel momento, togliendo le tovaglie ed i cestini delle vivande affrettati dall'aspetto del tempo che da incerto si faceva più scuro.
Riconobbi la famiglia: abitavano affianco a casa mia.
Era una famiglia di 5 persone: padre, madre e 3 figlie, giovanissime, ma già molto carine.
Erano due gemelle di 18 anni e la maggiore di 19 anni, bellissime, quanto inavvicinabili: per incomprensioni condominiali non mi sopportavano, inoltre essendo brutto mi odiavano addirittura.
Ben sapendo che non avrei mai potuto ottenere le loro simpatie non mi ero mostrato debole od accomodante nelle vicissitudini di convivenza comune, loro l'avevano presa come un'offesa alla maestosa beltà che le caratterizzava, poiché tutti – ma proprio tutti – si comportavano quasi da cagnolini con loro.
Decisi quindi di rimanere nascosto sino a quando non fossero andate via, e così feci: caricarono tutto nelle borse che avevano e s'incamminarono verso la vicina strada.
Erano abbastanza lontane, sul prato che costeggiava la strada, quando mi decisi ad approssimarmi al bordo di questo, ma mi bloccai poiché Francesca, la maggiore, all'improvviso prese a tornare indietro abbastanza di fretta.
Cosa avrà dimenticato? Mah... meglio rimanere nascosto in questa frasca, addentrarmi nel bosco poteva essere rumoroso per via dei rami secchi che coprivano il sottobosco e farmi scoprire.
Era tornata sul punto nel quale avevano fatto la scampagnata... passò oltre.
Veniva proprio dalla mia parte! Che mi avesse visto?
Non mi potevo muovere, ero nascosto nel primo cespuglietto appena fuori del bosco, lambito dall'erba del prato, giusto a confine.
Francesca si fermò proprio affianco a me, giusto dietro il cespuglio, giusto ad un metro dal mio naso.
Sentivo il suo ansimo dovuto alla corsa che aveva appena fatto, il suo profumo meraviglioso di donna che emanava...
Si accovacciò sull'erba, contemporaneamente mentre si abbassava si tolse gli slip da sotto la corta gonnellina... mi voltava le spalle, il suo candidissimo didietro era a meno di mezzo metro da me, vicinissimo al cespuglio.
Udii uno scroscio d'urina nell'erba, appena il tempo di riconoscerne il suono che subito ne intervenne un altro: un sonoro scorreggione, potentissimo ed allungato: pareva che stessero strappando un lenzuolo...
Mi arrivò quasi subito alle narici la puzza di merda appena fatta, anche se non aveva ancora completato l'opera: ero acquattato a terra, con la testa a livello del terreno; come avevo appena visto il getto d'urina scuotere i fili d'erba e renderli luccicanti, in quell'istante vedevo un lungo cordone marrone bitorzoluto uscire dal suo magnifico culetto.
Prese di fretta un fazzoletto di carta col quale si pulì prima la vulva e poi l'ano, lo gettò lì accanto e si rialzò, si riaccomodò le mutandine e se ne andò via come nulla fosse, camminando con una grazia...
Ero ancora lì, pietrificato. La sua cacca, ancora fumante, poggiava sull'erba verde contrastando per il suo color marrone scuro.
Non avevo mai potuto nemmeno toccare una ragazza, quella cacca era appena uscita da una delle più belle che avessi visto... era uscita dal suo sedere sodissimo e meravigliosamente formato...
Mi sporsi dal cespuglio, uscii gattonando lentamente. Avvicinai la faccia a quella cacca, sentii il calore che emanava: il calore di quel corpo bellissimo nel quale era stata sino a meno d'un minuto prima...
Era uno stronzo dall'aspetto alquanto sodo – come il corpo che l'aveva prodotto –, sembrava quasi piantato nell'erba, quasi con la stessa inclinazione dei fili: debolmente inclinato verso il mio naso, come ad indicarmi.
Non so cosa pensai, anzi: forse non pensai proprio a null'altro che a lei, Francesca.
Aprii la bocca ed avanzai di quel tanto che bastava perchè quella estremità che mi stava puntata contro venisse a trovarsi all'interno della mia bocca, ma ancora senza averla toccata.
A quel punto chiusi gli occhi, pochi secondi d'esitazione e... chiusi anche la bocca.
Presi a succhiarla come fosse un lecca – lecca, per lunghi istanti. Poi chiusi la bocca del tutto e cominciai a masticare il pezzo che avevo staccato, poi inghiottendolo. Senza aprire gli occhi avanzai quel po' che necessitava per ripetere l'operazione per il resto della merda, ne vennero fuori 5 bocconi pieni.
Era un sapore schifoso, ma era tutto ciò che avevo potuto ottenere da una ragazza.
“T'è piaciuta la mia cagata?”
Sussultai come se mi avessero sorpreso ad ammazzar qualcuno, spalancai gli occhi. Era tornata indietro nuovamente!
Mi mostrò un telefonino, dicendo: “Mi sono accorta che non l'avevo più, allora ho creduto che mi doveva essere caduto qui, quando mi sono chinata per cacare. Ho avuto ragione, infatti: era qui ad un metro dalla merda e da te che stavi pranzandoci. L'ho raccolto, ma non ho voluto perdermi lo spettacolo di un pezzo di merda di vicino che ne mangia un'altro fatto da me!!!”
Non sapevo che rispondere, che dire. Ero diventato viola in faccia, mi vergognavo infinitamente.
Ero lì, ancora gattoni, con le braccia protese in avanti ancora appoggiate sull'erba, le labbra marroni.
Non avevo nemmeno il coraggio di guardarla in viso, guardavo in basso, solo i suoi piedi, vicino a me.
Mentre pensavo a tutto ed a niente notai che aveva quelle scarpette da prato, come quelle dei calciatori, con le tacchette aguzze.
Fece per andarsene, dicendo: “Ne riparleremo più in là...”, con un piede calpestò lentamente una delle mie mani, stazionandoci su un istante.
Quando tolse il piede io, logicamente addolorato, me la trattenni e massaggiai con l'altra; fu in questo momento che le schiacciò entrambe, violentemente, con le dita quasi intrecciate tra loro.
E se ne andò.
Non compresi come fossi riuscito a non cacciare nemmeno un lamento, le mani mi facevano male quanto mai prima d'allora.
Raccolsi i miei pensieri, le mie forze e tornai a casa.
Il giorno dopo raccontai al laboratorio di un “incidente nei boschi” per giustificare lo stato delle mie mani, e tornai a casa.
Ma con un flacone di veleno, intendevo farla finita con questa vita che dal giorno prima come non mai era divenuta una vita di merda.
Arrivato al pianerottolo del mio appartamento vidi che c'era Francesca che mi aspettava.
Si aspettava, infatti, che quel giorno non avrei lavorato.
“Ciao, stronzo! Che fai, non lavori, oggi?”
*Ma che vuoi?! Ssst! Che hai da dire?!*
Mi tirò un cazzotto in faccia con una forza che il suo fisico agile ed atletico le concedeva, tale che cominciò a sanguinarmi il naso.
*Sai che non puoi trattarmi così, vero?*
“Dici? Ma se tu mangi la merda che faccio non puoi negarti ad altri 'eventi' più comuni che avvengono tra le persone, no?”
Ebbi un gesto di stizza, un moto di vergogna. *Che io mangio merda puoi dirlo quanto vuoi: non è vero, e non ti crederà nessuno! Pensi che crederanno ad una ragazzina piuttosto che ad un affermato chimico dalla posizione come la mia?*
“...mah, veramente io credo a quello che vedo, e la tua 'posizione' era china a masticarti la mia cacca fino all'ultimo boccone....”
*Questo lo dici TU! Dimenticati 'ste scemenze, ripeto: fantasie di bambina!!!*
“Dici? Sarà... le mie sorelle ci credono eccome, anzi: data la 'simpatia' che abbiamo per te, vorremmo che tu oggi faccia digiuno, sia a pranzo che a cena: domani mattina ti sfameremo tutte e tre assieme, e del tuo cibo preferito!”
*Adesso basta! Vattene, mi hai stufato!*
Continuò imperterrita a parlare, come chi è sicuro di sé all'ennesima potenza, con sguardo tagliente: “Sotto lo zerbino di casa mia c'è una scollatura della base in gomma: ci nasconderai un foglietto con su scritta l'ora esatta di statsera in cui ci aprirai la porta, dato che dovremo discutere... tieni, questo è per te”
Mi mise in mano un pacchettino, andò via salutandomi cortesemente:
“A dopo, merdaiuolo!”
Stavo col pacchetto in mano, di fronte all'uscio, fremente di vergogna, col naso che gocciolava sangue in seguito al cazzotto ricevuto.
Entrai in casa ed aprii il pacchetto.
Dentro una scatolina di cartone incartata c'era un sacchetto di plastica trasparente riempito di cacca, assieme un cartellino con su scritto: “pranzo di oggi”.
Lo tirai dalla finestra con una violenza immane, non ho idea di dove potesse essere arrivato.
Presi la scatolina di cartone vuota per accartocciarla, quando cadde una specie di busta da lettera alquanto spessa.
Incuriosito, aprii la busta.
Era come quelle matrioske russe, un foglio dentro l'altro, e su ognuno v'era scritto:
“6 1 stronzo”, “faccia di merda”, e via dicendo.
Il più particolare aveva su scritto una specie di filastrocca matematica:
INCREMENTO della nostra intelligenza +
DECREMENTO delle tue possibilità di difesa =
ESCREMENTO di ciascuna di noi nel tuo stomaco.
(Risposta: PENSA!!! CIBI DIGERITI 2 VOLTE!!!)
Incartato in quest'ultimo foglio c'era un floppy disk.
Avevano intenzione di insultarmi anche dal mio pc?
Oppure mi stavano passando uno di quei virus che mi cancella tutto?
Decisi di scannerizzare più volte con l'antivirus il dischetto, poi di aprirlo.
C'era sicuramente un file di scrittura pieno di insulti... .scr? .doc? .sdw? .pdf?
Se non vedo che c'è non lo saprò mai...
C'era un solo file, superzippato, che spacchettato aveva il titolo: AppenaRaccolto.mpeg.
Lo aprii. E mi misi a piangere.
Adesso sapevo quando aveva raccolto quel maledetto telefonino con microcamera incorporata.
Iniziava con la mia bocca aperta e vuota, e finiva con la frase: “T'è piaciuta la mia cagata?”.
Uno studioso come me fregato da una tecnologia di un altra branca... e adesso?
Sto inebetito per una mezz'oretta, fissando il tavolino col pc ed il filmato che si ripete all'infinito.
Non tento nemmeno di cancellarlo, ne avranno fatte chissà quante copie.
Il mio sguardo si posa sul mucchio di fogli scartati dal floppino, accumulati sul tavolo.
Ne prendo lentamente uno, quello con la frase meno estesa, lo ritaglio tirandolo sull'orlo del tavolo e ci scrivo sopra un orario serale...
A quell'ora esatta, aprendo la porta, le vedo tutte e 3 fuori, con le mani puntate ai fianchi ed un sorriso malevolo e beffardo.
“Allora, ci fai entrare o stiamo qui a guardarci per tutta la sera?”
Senza attendere risposta Francesca mi diede uno spintone che mi fece cadere all'indietro nell'ingresso, contemporaneamente entrando assieme a Fiamma ed Eleonora, le due sorelle gemelle più giovani. Erano tutte vestite elegantemente, da sera, come se stessero andando ad una festa – forse proprio questo avevano detto ai genitori uscendo di casa –, belle, come mai le avevo viste prima d'ora... forse perchè mai mi erano state così vicino, e contemporaneamente, poi.
Ero ancora steso a terra, la porta ancora aperta; un dolore lancinante alla mano: Francesca vi aveva poggiato su uno dei suoi tacchi a spillo, calcandovi con gran parte del suo peso con una noncuranza incredibile, mentre chiedeva alle sorelle che venisse chiusa la porta.
Dolorantissimo, le feci con voce quasi soffocata: *Ce l'hai proprio con le mie mani, eh? Ma che t'hanno fatto?*
Intervenne una delle gemelle, prendendo una parola che magari desiderava spiattellarmi in faccia da tempo: Eleonora: “Non solo con le tue mani, ma con te tutto ce l'abbiamo! Hai finito di guardarci storto! ...anzi, puoi continuare finché ti pare, con la differenza che adesso con motivo...”
Fiamma: “Posso provare anch'io? Non ho mai schiacciato le dita a nessuno... sembra bello...”
Mi si avvicinò decisa. Si chinò su di me come per volermi parlare all'orecchio, prese l'altra mia mano con le sue, morbidissime e calde – una sensazione mai provata prima – e la voltò col palmo verso il pavimento. Sempre china sistemò il medio sotto uno dei suoi tacchi (quello del piede che teneva con il ginocchio flesso e quindi col tacco alzato), dicendo: “Comincio con questo qui che una volta hai usato per farmi un gestaccio... ti dispiace?”.
Si rialzò in piedi e così facendo abbassò il tacco, che non era a spillo anche se alto. Il dolore fortissimo mi fece sfuggire alcuni lamenti che furono subito soffocati da una pallottola di carta, quella fatta da Eleonora con i fogli che avvolgevano il floppino e da lei ficcatami in bocca.
Fiamma: “...mmmh... bellissimo... ”, calcando sempre più e girando alternativamente il tacco.
Togliendovisi vide con soddisfazione l'unghia, arrossatissima, farsi pian piano viola, e decise di ripetere la sensazione ancora, a suo dire “per mettermi lo smalto anche alle altre dita...”.
L'interruppe Eleonora, proponendole di fare in due, affiancate, una col destro ed una col sinistro, poi invertendosi tra loro... anulare ed indice, poi mignolo e pollice, assieme a coppie.
Mentre facevano tutto ciò ridevano sommesse con le loro voci cinguettanti, sembravano bambine alle prese con un nuovo giuoco.
Francesca insisteva dolorosamente senza posa sull'altra mano.
La situazione pian piano si fece ancor più dolorosa, poiché allargarono i calpestamenti sulle palme, sulle braccia, su tutto il corpo, tutte e 3 assieme.
Quando furono stanche, Francesca esordì: “Allora... domani mattina fatti trovare pronto! Non credo che toccherai cibo stasera...” Fiamma: “Tanto meno con quelle mani, ih ih”. Francesca: “...dicevo, non toccherai cibo stasera, ma un aperitivo ci vuole! È da stamattina che non piscio, altrettanto le mie sorelline quando ho fatto loro visionare il filmato! Allora...”
Si calò le mutandine ed in un attimo era accovacciata su di me, la vulva che tanto avevo visto sulle cassette si avvicinò alla mia bocca solo per scaricarvi un fiotto di urina bollente e prolungato.
Francesca si levò soddisfatta; subito fu il turno di Eleonora, che all'apice dello scroscio emise una scorreggia fetida e sonora, 2 caratteristiche che raramente appaiono insieme.
Anche Fiamma, mentre la sua pipì ribolliva e schiumeggiava nella mia bocca, emise lo stesso genere di flatulenza: logico, pensai, sono gemelle...
Francesca esordì, mentre Fiamma finiva di tirarsi su gli slip: “Bene, allora: domattina alle 9, l'orario adesso lo facciamo NOI, giacché tu non conti niente. Dormi bene...”
Rimasi a dormire sul pavimento, disteso. Alle 9, puntuali, entrarono: avevano preso le chiavi...
Mi calpestarono con foga sullo stomaco, a dir loro “perchè con un po' di ginnastica veniva loro meglio andar di corpo”, infine mi costrinsero ad inghiottire le loro cacche direttamente dai loro sederi. Sembrerà strano ma, seppur tremendamente dolorante e disgustato, quando uno di quei 3 corpi si avvicinava io lo osservavo attentissimamente: glutei d'avorio, peli folti, labbra grandi con le piccole che appena si intravedevano in mezzo... mi riempirono completamente e se ne andarono.
“Domani stesso trattamento, fin quando vorremo, ossia ancora per parecchio!”.
Non capii nemmeno di quale delle 3 fosse quella voce, era confusa, seppur dolcissima.
Passai tutto il dì steso per terra. Verso sera il turbine di pensieri che affollava la mia mente si posò su una bottiglietta.
*Quando si saranno stancate di tutto questo, se sarò ancora vivo, metteranno in giro quel filmato... sono comunque morto civilmente, dove mi presenterò, poi? Il veleno, il veleno che avevo preso al laboratorio e la facciamo finita...*
Strisciai fino alla sedia, a raggiungere i brandelli della mia giacca che era stata fatta a pezzi dalle 3 sorelle, in un momento di pausa, quando cioè si occuparono di tutto ciò che avevo nel mio appartamento. Sentii la bottiglietta in una tasca, dalla quale rotolò, riuscii ad aprirla tenendola con la parte dei palmi vicina ai pollici e svitai la capsula coi denti. Ripetetti lo stesso movimento che feci in quel filmato, presi in bocca la bottiglietta e mi voltai supino, inghiottendone il contenuto.
Poi più nulla.
Rumori, voci e luce all'improvviso. Dove sono?
Apro lentamente gli occhi e vedo le sorelle che mi guardano ammutolite con sguardo stupito.
Erano diventate enormi. Anche la casa era enorme... ma era tutto enorme o ero io che m'ero rimpicciolito?
*Ma che cazzo ho preso nel laboratorio? Eppure c'era scritto VELENO!*, pensai.
La bottiglietta, grande quanto un thermos, era lì affianco. Potei vedere i caratteri in piccolo affianco ad ogni lettera e mi accorsi che era la cifratura adoperata per gli esperimenti top – secret.
Francesca: “Guardate! È rimpicciolito, sembra un bambolotto! Sarà alto meno di mezzo metro!”
Superato il primo momento di stupore, Fiamma ebbe l'illuminazione: “Adesso potremmo persino tenerlo nel comò, senza venire qui...” Eleonora: “Giusto! Così non rischiamo nulla se vengono a cercarlo in casa sua...”
Francesca: “Bene... non so cosa t'è successo ma so cosa ti capiterà... ehi, quanto puzzi!”
Mi sollevò di peso e mi mise nel lavandino, prese a far scorrere l'acqua e mi lavò con sapone e spazzola come se fossi una mutanda sporca.
Mi avvolse nell'asciugamano e così impacchettato mi trasportò in casa sua, seguito dalle gemelle.
Mi ritrovai sul letto di una di loro, *strano* – pensai – *non mi hanno buttato per terra...*.
Entrarono nella stanza e si misero a guardarmi.
“Quanto sei brutto!”; “Così piccolo poi sembri un grosso gatto sfigurato”; “Pensa quanta cacca in più, in proporzione, dovrai inghiottire!”; e da un insulto all'altro presero a malmenarmi a poco a poco, accorgendosi però che non potevo sopravvivere alle medesime dosi di violenza.
Allora passarono a cose “soffici” – per una persona di taglia normale – ... Fiamma si sedette con noncuranza su di me, ancora disteso sul bordo del letto. Le sue bellissime natiche scesero pian piano su di me, la gonna mi coprì tutto attorno, le mutandine erano di pizzo sottile; sentii la sodezza di quelle curve quando fu seduta completamente su di me.
Fortunatamente aveva le mutandine, altrimenti con una sua natica che mi copriva completamente la faccia sarei morto soffocato; un po' d'aria filtrava dal tessuto.
Fu il turno di Eleonora: anziché coprirmi tutto il corpo come aveva fatto la gemella, preferì sedersi sulla faccia solamente, lasciando bacino e piedi scoperti, poggiando con l'ano sul mio naso.
Adesso non potevo respirare: finalmente me ne vado... Arrivò una ventata silenziosa e fetida che irruppe con forza nei miei polmoni, mi sentii letteralmente gonfiare il torace.
Non so quanto stazionò sopra di me, poiché svenni. Mi risvegliai in una buia scatola, sicuramente nella loro stanza... mi svegliai perchè la scatola stava venendo scossa forte. Si aprì il fondo e caddi per terra.
Francesca: “È ora di pasteggiare, non hai fame e sete?”. Al solito non aspettò risposta, mi mise in una bacinella dove si accucciarono a turno tutte e 3, urinando nella mia bocca che non riusciva ad inghiottire tutto.
Sentivo schizzi caldissimi e forti, come se mi stessero spruzzando da un idrante acqua bollente, contemporaneamente il sapore salato ed amaro delle loro pipì invadeva i miei sensi.
Mi lasciarono poi a mollo per un poco nella gran parte dell'urina che non riuscii inghiottire, poi mi portarono in cantina: una cantina dal pavimento di terra, come non se ne vedono da decenni... Francesca scavò un piccolo buco nella terra, grande quanto un piccolo meloncino, ovvero poco più della mia testa. Poi disse: “Ecco: cagate qui dentro, come faccio io, ma trattenetene un po', mi raccomando!”. Mi guardò, con aria da professoressa: “Lo vedi come ti trattiamo bene, lasciamo dentro, per te, la parte più molle... non farai fatica a masticare!”. Poco dopo aver cagato nel buco si sollevavano, si mettevano su di me, si chinavano di nuovo e, con gran cura, mi cagavano in bocca quel po' di merda che avevano trattenuto, assicurandosi che la inghiottissi tutta. Francesca fu la prima, Fiamma la seconda. Benché poca però, per me era parecchia e quando arrivò il turno di Eleonora non riuscii a mandar giù tutto. In verità, mi sembrò che Eleonora ne avesse anche fatta meno nel buco... Eleonora: “Ah! Allora ce l'hai con me... allora ti spetta una punizione...” . Ma quale punizione! Erano d'accordo, avevo visto loro tirare a sorte per chi dovesse essere l'ultima! Ma il risultato non cambiava. Eleonora mi sollevò di peso, mi stese bocconi vicino al buco e si tolse una scarpa. Il suo piede nudo poggiò dietro la mia testa e la schiacciò – senza calcare troppo – con la faccia nel buco, facendo risalire come crema la merda tra le pareti del buco e la mia testa.
Dopo quasi un minuto d'apnea mi tirò via di lì, con un sordo 'sbrlopp', di quelli che fanno gli stivali quando vengono tirati via da un buco fangoso. Fortunatamente riuscii ad espellere la poca aria dal naso, poiché avevo in bocca un tappo di sterco molto duro, formatosi in seguito all'esecuzione della 'punizione'. Respiravo a fatica. Quanto sarebbe durato quel calvario?
Fiamma mi sollevò reggendomi per una gamba e mi tuffò in una bagnarola semicolma d'acqua, dicendo: “Lavati, ora, e da te: io le mani lì in quello schifo non ce le metto mica!”.
Seduto con l'acqua che mi arrivava al collo cominciai a strofinarmi con le mani, ancora doloranti ma che adesso potevo muovere... Francesca rovesciò la bagnarola di stagno con l'acqua e me dentro, ci mise qualcosa su e lì mi lasciò, sino al giorno successivo.
*Porc... così imparo a volermi avvelenare! Il suicidio è quanto di peggio ci si possa fare, in vita! ...ma ora, ciò che mi sta succedendo è giusto? Vuoi vedere che sono veramente morto e questo è l'inferno che spetta ai suicidi? Allora non finirà mai tutto ciò... ne sono pentito, ma se sono morto è troppo tardi...”
Con in bocca ancora lo stronzo compresso, piagnucolando mi sforzai di schiacciarlo almeno un poco, per poi sputarlo. Doveva essere di Francesca, poiché era entrato verso la fine dell'affondamento della mia faccia nel buco, quindi deposto prima. Mentre lo masticavo notai che, dimensioni a parte, era infatti del tutto simile a quello che avevo masticato nel bosco.
Era così uguale... anche se con lo stomaco pieno lo inghiottii.
Ero convinto di essere morto, che mi stessero osservando e che quello era proprio ciò che mi meritavo e che dovevo fare.
Caddi nel sonno pieno di torpore del dolore e della sofferenza.
La mattina giunse. Rumori ovattati mi svegliarono, di qualcosa che scende da delle scale. Veniva qualcuno.
Francesca sollevò la bacinella. Rimase sbigottita: ero rimpicciolito ancora di più. La sera prima non era successo, ora invece ero piccolo come un topo.
Mi portò su dalle sorelle e mi mostrò loro.
Fiamma: “Non è possibile... tra poco scomparirà del tutto! Ma che gli succede?”
Eleonora: “Perchè, cosa gli era successo due giorni fa, quando l'abbiamo trovato piccolo?”
Francesca: “Forse ha fatto qualche strano esperimento ed ora ne subisce le conseguenze... ma perchè a scatti? Cosa scatena queste miniaturizzazioni?”
*Ha parlato la scienziata* – pensai – *anche se queste considerazioni non sono da buttar via! Non l'ho capito nemmeno io, perchè a scatti!*
Parlarono un po' tra di loro, cercando di decidere sul da farsi. La mia sola certezza era che – se non ero ancora morto – diveniva sempre più facile eliminarmi e farmi sparire.
Francesca: “Vabbè, sarà quel che sarà, ma è comunque qualcosa che ti meriti. Non credo che durerai molto, così ridotto, anzi... e comunque sei utilizzabile per certi giochini...”.
S'illuminò in viso e, tutta eccitata, ne parlò alle sorelle gemelle.
Si spogliarono tutte e 3, in maniera terribilmente sensuale... mi mancava il fiato, non avevo mai visto una donna nuda dinanzi a me, figuriamoci 3!
“Dunque... sei brutto, ma ti si vede poco la bruttezza con la faccia grande come una moneta da 50 lire... pardon, 50 eurocent... ed abbiamo deciso di adoperarti come oggetto di desiderio...”
Dentro ero terribilmente incazzato: *COME!!! ADESSO!!! POTEVANO PENSARCI PRIMA, O ALMENO QUANDO ERO ALTO POCO MENO DI MEZZO METRO!!!* – pensai, ma ero anche molto eccitato... anche se il mio sesso non lo dava assolutamente a vedere: se lo avessero visto, avevo paura, me lo avrebbero forse strappato con delle pinzette per i peli...
Infatti non ero vestito, poiché su quelli il siero non ha ovviamente effetto. Ma non riuscii a rimanere insensibile a tanta grazia. Fiamma mi prese e mi portò in bagno, mi mise nel lavandino e prese a lavarmi accuratamente con del sapone neutro. Sarò stato alto una quindicina di centimetri, come un grosso topo appunto; completamente nudo e liscio. Le mie poche villosità si vedevano, ma i peli erano anch'essi sottilissimi e Fiamma percepiva la mia peluria soffice come batuffolini di cotone.
Mentre mi lavava con acqua tiepida sentivo le sue mani enormi carezzarmi su tutto il corpo, come fossero esse stesse giganteschi corpi caldi e morbidi, sensazione intenerita ulteriormente dalla scivolosità della schiuma saponata.
Mi accorsi che mi trattava delicatamente, anche se sapevo che lo stava facendo semplicemente per non 'rompermi'; per lo stesso motivo arguii che non mi avrebbe strappato il pene, altrimenti avrei sporcato tutto di sangue... anche lei cominciò a gustare nelle sue mani la morbidezza del mio corpo; dovevo sembrarle un grosso pene caldo.
Mi portò in camera da letto reggendomi con una mano, con l'altra si stava massaggiando la fighetta della quale già sentivo il profumo. Si stese sul letto e mi poggiò sul suo stomaco, ma non riuscii ad alzarmi: la mano che mi aveva depositato mi aveva lasciato ma si era aperta col palmo su di me ed aveva preso a rullarmi sul suo addome piatto e sodo. Pian piano il rotolamento scese più in basso, sui peli alquanto duri, per me, ma sopportabili... ad un tratto mi prese le braccia e le sollevò sulla mia testa, le serrò giunte assieme con la mano e mi inserì lentamente nella fessura manovrandomi a quel modo.
Mi sentii avvolgere con una stretta caldissima, una coperta elastica che mi massaggiava per tutto il corpo in maniera fantastica, un po' più stretta verso l'uscita, ma tutta bagnata... il mio sesso strisciava con tutto me stesso su quella splendida parete, era come se mi stesse... non so dirlo...
Venne improvvisamente: mi sentii schiacciare il torace dalle contrazioni che la presero, come se mi avesse stretto un lottatore di sumo... non ero venuto perchè il mio pene quando lei mi inseriva dentro gustava di una carezza dolcissima, ma quando mi sfilava si piegava verso il basso e mi faceva male.
Avevo le braccia doloranti quando lei aprì il pugno che le aveva serrate fino ad allora; non feci però in tempo a riprendermi da quella sensazione di torpore che mi sentii nuovamente stringere al medesimo modo. Venni sfilato fuori e mi accorsi che era Eleonora che adesso – è il caso di dirlo – mi teneva in pugno e mi infilava a sua volta dentro di sé.
Era identica alla sua gemella, tutto uguale, tranne che per il fatto che stavolta ero già stato sfregato per bene ed ad un certo punto venni.
Non se ne accorse nemmeno, era occupata a spingermi dentro e fuori di gran lena, con la soddisfazione di Francesca che si stava masturbando all'impazzata gustandosi lo spettacolo offerto prima da Fiamma, poi da Eleonora.
Fu una fortuna, perchè quando anche Eleonora ebbe finito e mi stringeva ancora in pugno le braccia, Francesca le tirò il polso sfilandomi fuori da lei, con una foga tale però che Eleonora perse la presa ed io caddi sul letto.
Non sarebbe stata una cosa grave, ma Francesca, senza badare a nulla e già lì lì per venire, mi prese di fretta, ma per i piedi, e mi infilò di testa nella sua figa meravigliosa... stavo per soffocare e non so quanto liquore inghiottii quando venne, proprio quando uno cede e comincia ad annegare.
Mi sfilò, fradicio di umori, poi forse per gustatsi un po' del suo stesso calore mi pose tra le sue enormi mammelle e lì mi tenne, richiudendomele attorno sorreggendole ai lati con le mani.
Era una sensazione unica di sofficità... venni nuovamente, tanto ero così fradicio di lei che non se ne sarebbe accorta...
Fu la mezz'ora più piacevole della mia vita, quella. Purtroppo, finito il godimento, risvegliate pian piano da quel piacevole senso di volare, decisero di farsi una doccia. Mi portarono in bagno e si misero tutte e 3 sotto l'acqua. Francesca fece per appoggiarmi sul bordo della vasca, mi teneva per il corpo circondandomi con il palmo da dietro la schiena. Ma non mi appoggiò. Decise di aprire la mano quando ero sopra il cesso, e da quella sensazione di calore passai al gelo dell'acqua in fondo alla tazza. Per fortuna che beccai il buco – e caddi in piedi, era abbastanza stretto e forse non sarei riuscito a girarmi, altrimenti – e caddi da pochi centimetri...
L'acqua mi arrivava al torace, stavo in piedi in quel cesso aspettando che finissero di fare la doccia.
Inutile sperare in qualcosa di buono: non so quale delle ragazze si sedette, poiché si fece subito scuro, ma il solito conosciuto getto d'urina mi colpì in pieno, stavolta facendomi pure male dato che era sparato da una certa altezza.
Dovetti chiedermi non quale delle 3 fu a pisciarmi addosso, ma quale fu a non farlo, giacché dopo un istante di luce un altro deretano prese posto ed un'altra vescica scaricò il suo contenuto su di me.
Quando fu luce di nuovo, si affacciò Francesca: “Avete lasciato il cesso pieno di merda! Non vedete che stronzone c'è sul fondo? Non ci passa neppure nel buco... o forse sì?”
Quasi contemporaneamente tirò l'acqua.
Mi sentii investito da una doccia fredda di grossa portata, contemporaneamente un forte risucchio mi stava tirando verso il buco, ma per mia sfortuna non ci passavo.
Sarei finito nelle fogne e magari uscire da qualche tombino, oppure – nel peggiore dei casi – crepare in una fossa settica. Ma non ci passai.
Francesca mi raccolse e finì di lavarmi sotto altra acqua saponata gelata. Mi avevano lavato con acqua calda solo quando dovevano infilarmi nelle loro rispettive vagine. Me l'aspettavo, sì...
Appena asciutto però mi portò con sé, corse con una certa fretta sul letto.
Mi sistemò supino su un cuscino e si accovacciò su di me, toccandomi la faccia con la punta del dito e sedendosi senza schiacciare troppo. Mi aveva messo proprio in corrispondenza del suo ano, che mi sembrava di fuoco sulla mia faccia, dopo quella doppia docca gelata...
Compresi dolorosamente che aveva mollato uno scorreggione identico a quello che udii quando ero nascosto nel cespuglio, solo che adesso non ero di statura normale ed a mezzo metro dal suo ano. Ne ero a contatto, come quando Eleonora si sedette sul mio viso mentre ero disteso sul letto e fece la stessa cosa, ma allora ero alto quasi mezzo metro.
La sensazione che provai fu terribile. Avevo lei accovacciata su di me, le sue natiche che mi schiacciavano sul cuscino, il suo ano che mi copriva l'intera faccia con la sua liscissima aderenza, il naso quasi affondato dentro. Una potente bordata, improvvisa, mi entrò nei polmoni, nello stomaco e mi gonfiò persino le orecchie, facendomele fischiare con dolore. Era troppa aria perchè entrasse tutta, una gran quantità spernacchiò con violenza tra il suo ano e la mia faccia, vibrandola come se fosse presa a fortissimi schiaffi. Stazionò un poco sulla mia faccia, sentii che il suo ano faceva piccoli movimenti avanti e dietro, come la bocca di un pesce; all'improvviso venne un'altra bordata...
Quando si sollevò da me avevo la faccia viola per la tremenda vibrazione subita.
Alla fine mi nascosero in un tiretto, tra mutande e reggiseni ed altra roba... mi meravigliai che non mi buttassero nel cesto delle mutande zozze.
Credo che andarono a dormire.
Infatti, il giorno seguente mi svegliarono puntualmente alle 9 per la bevuta quotidiana d'urina.
Per mia sfortuna ero abbastanza robusto – ed in carne – per resistere alcuni giorni senza cibo; loro non sembrarono però ricordare che anch'io tra i miei hobbies avevo quello di mangiare, ogni tanto: da parte mia non ci pensavo neppure a chiederlo, poiché sembrava che fossero concentrate ad usarmi come dildo per i loro piaceri ed a sporcarmi di merda era passato loro d'abitudine e non volevo 'ricordarglielo' chiedendo loro cibo.
Speravo di risvegliarmi nuovamente normale, un giorno o l'altro, che tutto fosse un lunghissimo incubo: ma ero alto sempre una quindicina di centimetri
Una di quelle sere, dopo che mi ebbero usato con loro soddisfazione – Fiamma volle ripetere l'esperimento di Francesca col cuscino, ma la scorreggia che emise non era secca e violenta.
Sentii uscire dal suo ano un soffio caldissimo ed umido, silenzioso e fetidissimo di scorreggia d'una col mal di pancia. Quasi mi soffocò, ma non mi arrossò la faccia come quella di Francesca...– decisero di tornare alle vecchie passioni...
Presero un barattolo di latta vuoto, di quelli che contengono 5 kg di pelati, lo riempirono quasi per un quarto, tra Francesca ed Eleonora.
Fiamma si sentiva un po' nauseata... mi presero e, semplicemente, mi ci lasciarono cadere dentro, ridendo a crepapelle quando finii quasi affondato in quelle cacche.
Erano tremendamente appiccicose, feci molta fatica a spiccicare la faccia completamente affondata nella pastosità, me la ritrovai completamente coperta di uno strato di cacca tanto che non riuscii a liberare né il naso, né gli occhi. Mi rigirai supino a respirare, ansimando, con la bocca, senza vedere nulla, udendo le loro risate ovattate attraverso le mie orecchie chiuse.
Fu come una colata di lava: investito e ricoperto da una cagata semiliquida che mi riempì la bocca: Fiamma si era liberata da quel mal di pancia che la assillava.
Con un bastoncino per le orecchie mi pulirono la cacca sopra gli occhi, che potei finalmente aprire, udii Fiamma che diceva: “Mangia! Dai, inghiotti! È morbida abbastanza, così?”
Fui costretto ad inghiottire quello schifo, giacché appena esitavo il bastoncino per le orecchie veniva adoperato per spingermi sotto.
Dopo poco rovesciarono l'intero barattolo nel cesso e tirarono lo sciacquone.
Fui la sola cosa a non passare, la forza dell'acqua mi ripulì quasi completamente da quello schifo; mi sollevarono con lo scopettone del cesso e, tirando continuamente l'acqua, mi strofinarono con questo, dolorosissimamente, finché non risultai pulito.
Solo allora mi presero, risciacquandomi nel lavandino, mi asciugarono e mi richiusero nel cassetto.
Le sentii prepararsi per dormire, udii i loro soliti discorsi scemi e cominciai ad abbioccarmi, quando il tono di voce preoccupato di Francesca allertò in qualche modo la mia vigilanza: “CAZZO! Il floppy disk! È rimasto in casa di quello stronzo! Se qualcuno lo cerca e trova quel floppy potremmo avere dei problemi! Potrebbero accusarci di averlo ricattato e magari d'averlo costretto a fuggire per la vergogna!!!”
Eleonora: “Bisogna andarlo a prendere rapidamente, prima che venga qualcuno!
Sentii dei movimenti, non so chi uscì, non so che fecero. In fondo non poteva più fregarmene. Se avevano recuperato il dischetto avevo perso qualsiasi speranza d'essere aiutato, ed avrei compreso se lo avessero trovato o no dal tono di voce allarmato o meno al loro rientro.
Sentii le ragazze parlare pian piano, quindi la risposta era scontata. Chiusi gli occhi, sperando che magari quella fosse l'ultima volta.
Il giorno dopo...
Ascoltai le ragazze che si svegliarono. Mi aspettavo che aprissero il cassetto all'improvviso e mi sottoponessero alla solita pisciata – quella non era mancata mai – e poi, lasciato in pace fino a sera, a tutto il resto. Forse dovevo proprio alle loro pipì il fatto d'essere ancor vivo: nel deserto ed in situazioni d'emergenza quest'uso ha salvato molte vite.
Stavolta però le ragazze non andarono nemmeno a pisciare, né nel cesso, né nel mio stomaco; corsero in salotto tutte e 3, come se avessero una cosa importantissima da fare.
Cominciai a muovermi tra le mutande, *magari posso provare a scappare nuovamente... e questo cos'è?*. Era un oggetto tondo, grande poco più della mia testa. Era duro. Odorava di frutta. Lo leccai: era dolcissimo.
*un lecca – lecca dimenticato nel cassetto!* – pensai – *l'hanno dimenticato qui... magari l'hanno messo da parte perchè si è rotto lo stelo, infatti non riesco a trovarlo... e poi l'hanno dimenticato!*
Lo leccai a lungo, fino a consumarne meno di un terzo, era un lecca – lecca zuccheroso. Mi avrebbe ridato un po' di forze...
Il silenzio regnava sovrano. Erano passate 4 ore e più. Decisi di muovermi in quello stupido cassetto, mi arrampicai sulle mutande e cercai di nuovo la parete del cassetto...* ma quanto sono scemo! Perchè tentare di aprirlo!!! Di solito i cassetti hanno la sponda posteriore più bassa, vediamo se ci riesco a passare!*. Cercai questa sponda bassa e la trovai, mi sporsi per passare... ci passavo! Mi lanciai: è un salto da poco...
Volai per parecchio, invece: caddi sul fondo del mobile. Eppure mi mettevano sempre nel primo cassetto da terra! Dovevano avermi messo in quello in cima, allora...
Sentii dei passi, stavano tornando: non mi avrebbero trovato nel cassetto, ma se li avessero sfilati tutti mi avrebbero visto in fondo alla cassettiera. Esaminai per bene il retro del cassetto: il bordo del ripiano costituente il fondo del cassetto sporgeva un po' fuori, ci salii sopra e mi aggrappai al retro del cassetto. Appena in tempo: il cassetto fu aperto. Sentii che mi si cercava nella biancheria e non mi si trovava... all'improvviso il cassetto fu sfilato completamente e poggiato sul letto. Mi ritrovai sulle coperte, con il cuscino molto vicino.
MA ERA TUTTO ENORME!!! Ero rimpicciolito ancora... adesso ero alto appena 4 o 5 centimetri!
Dopo un attimo di stupore schizzai verso il cuscino e mi nascondetti sotto le sue curve.
Eleonora: “Non lo trovo! Non c'è!!!”. Vennero le altre sorelle a cercare, ma non mi trovarono.
Avevano l'aria molto triste, mi sembrò stranissimo... avrebbero dovuto essere infuriate, invece.
Misero a soqquadro la stanza, non cercarono tra il materasso e la sponda del letto: mi ero nascosto lì. Uscirono dalla stanza e mi cercarono altrove. *E adesso dove vado, così piccolo? Non posso passare sotto la porta, non posso uscire! E anche se esco, dove vado? Che faccio? Ma che cazzo m'è successo, cosa mi rimpicciolisce ogni volta...* – Un'intuizione m'illuminò. – *...quel maledetto 'veleno' schifoso funziona ancora, fa effetto quando reagisce con la merda che ingoio! Non può che essere così! Dev'essere quel maledetto esperimento segretissimo per il quale lavoravano... ed infatti spesso sono state comperate sostanze come indolo e scatolo, che nessuno ha mai dichiarato di usare ma che invece... maledizione, sono sostanza presenti negli escrementi! Quel maledetto esperimento è segretissimo, se torno in laboratorio così conciato mi faranno sparire loro! Sono perduto...*
Mi crollò il mondo addosso. Ero piccolissimo e non avevo nessuna possibilità d'essere aiutato, nemmeno se le ragazze avessero voluto.
Un elastico pendeva sotto il materasso, doveva essere quel tipo di elastici che si usano cucire all'interno degli angoli dei lenzuoli perchè aderiscano al materasso. Lo usai per scendere a terra.
Mi trovai sul pavimento gelato, ispezionai un poco il luogo. Avrei potuto vivere come uno scarafaggio in casa. Solo questo. Uscire in giardino voleva dire far la fine di molte lucertole, divorate a cominciar dalla testa da qualche gatto affamato. Quante volte vidi scene così; mai pensavo che sarei potuto essere al posto della lucertola. Ero ancora sotto il letto quando rientrarono le ragazze. Piangevano. Credevano che fossi scappato nottetempo, poiché avevano trovato la porta della stanza aperta, porta che invece una di loro, alzatasi mezza addormentata per andare in bagno, aveva lasciata aperta. Dicevano d'essere stati dei mostri, che non avrebbero dovuto essere così cattive con una persona come me. *Ma che ne sanno di me!!! Vigliacche... sanno che sono ancora qui e cercano di farmi uscire allo scoperto per... e che me ne frega! Ho alternative? No!!! E allora esco!!!*.
Mi incamminai da sotto il letto, stavo per uscire, ma... un colpo terribile. Buttarono un oggetto sotto il letto, era enorme quanto un palco da concerto rock, mi fu sopra dalla cintola in giù.
Non mi spiaccicò a terra, ma comunque mi fracassò il bacino e le gambe. Ero steso supino a guardare le gigantesche molle del letto; chinai appena un poco la testa in avanti ed osservai l'oggetto che, quasi certamente, avrebbe rappresentato la mia fine. Era largo, rettangolare appunto come un palco; sembrava costituito da due enormi ripiani verdi agli estremi e da varie tavole di diverso colore in mezzo... *Che destino beffardo, essere schiacciato da una scatola di giocattoli*, pensai.
Chiusi gli occhi e pensai a tutto ciò che era successo sino ad allora, mi passò tutta la vita davanti agli occhi – e quando succede ciò, puoi star certo che sta giungendo la tua ora – sino a quella maledetta scatola con ripiani a colori alterni: nero, blu, viola, grigio, nero, grigio scuro... ed in ultimo marrone, poi un vasto spazio bianco...
Violenta illuminazione. Quello era il mio diario. Il diario che avevo iniziato a scrivere a 7 anni alle elementari, il cui bordo delle pagine avevo tinto, per quella prima volta, di nero. Era composto di non più di 200 pagine scritte, ed un altro centinaio ancora bianche. Non era un diario giornaliero, lo scrivevo solo una volta l'anno, a Natale, quand'ero solo ed abbandonato più che mai e scrivevo in dieci – quindici pagine il resoconto delle disavventure dell'anno appena trascorso, i miei desiderii mai avverati, le ragazze sempre viste e mai sfiorate, e coloravo il bordo delle pagine di ogni anno con un colore diverso, ma sempre cupo. Alla fine di ogni triste resoconto c'era una piccola poesia, scritta di cuore sul foglio tutto ondulato dalle lacrime che versavo quando constatavo che l'anno passato era andato sempre peggio del precedente.
Verso le ultime pagine c'era un foglio scritto, era stato messo lì da me da pochissimo tempo, forse come promemoria per la prossima stesura.
C'erano poche rime scritte, non proprio poetiche. Era un foglio che fu avvolto intorno ad un floppy disk.
Conoscevano sì, ora i miei segreti, le mie sofferenze. Sapevano anche che loro per me erano bellissime, ma che le trattavo con sufficienza e fastidio proprio perchè non sarei mai stato loro simpatico.
Improvvisamente il diario venne sfilato da sotto al letto, trascinandomi con lui con lancinanti dolori.
Fui allo scoperto e mi videro. Francesca, stupita, esitò un po', poi aprì il diario e prese proprio quel foglio e lo adoperò per mettermici su e sollevarmi sino alla scrivania.
Erano meravigliate, giacché ero rimpicciolito ancor di più, ma la meraviglia non cancellò le loro espressioni disperate. Erano arrossate in viso, rigato di lacrime. Anche loro non sapevano che fare.
Tentai di sollevarmi, ma non riuscivo a muovere le gambe. Il mio stesso diario doveva avermi rotto la spina dorsale vicino al bacino, non sentivo niente dalla vita in giù. Non riuscivo nemmeno a parlare, comunque non mi avrebbero udito. Mi mossi penosamente sulla scrivania, mi diressi verso un blocchetto di fogli bianchi. Guardai sul tavolo ed indicai qualcosa.
Fiamma capì, prese la matita a micromine e ne sfilò una, che spezzò a metà, e me ne porse un pezzo.
Presi quello che me era un pezzo di grafite grande come un grosso pennarello, lo premetti a due mani sul foglio e scrissi qualcosa.
È fine l'inizio,
inizia la fine.
Capirono.
Le due gemelle mi guardarono per l'ultima volta, poi uscirono dalla stanza; rimase Francesca. Fu lei a cominciare tutto.
Non aveva più quell'espressione sadica di potere che la aveva accompagnata tutte le volte che mi sbatteva da una parte e l'altra o che mi cagava in bocca.
Mi poggiò sul pavimento con lo stesso foglio che usò per levarmi, si mise in piedi davanti a me, ad occhi chiusi. Aspettò parecchio, prima di muoversi. Forse un'ora. O più. Non so.
Soffrivo moltissimo, nel frattempo, ma quando si mosse mi sentii in pace con tutto. Ebbi un'ultima riflessione terrena.
*Tutto questo tempo per fare un solo passo...*