[
replica ]
DollGuy ha inviato un messaggio dal titolo:
La mia prima storia - Introduzione (le gigantesse appariranno con il prossimo ca ed ha ricevuto
4 repliche.
messaggio inviato in data:
09/Gennaio/2005 19:59:32
Anche se ho già pubblicato numerosi testi su Internet, nascosto dietro pseudonimi collettivi, questa è la prima volta che pubblico un racconto.
Siate pazienti, vi prego: è da anni che non scrivo pezzi di narrativa.
La sto ancora scrivendo: questo è l'incipit, e serve ad introdurre l'ambientazione.
Non ci sono ancora omini o gigantesse, ma li inserirò a partire dal prossimo capitolo.
Fatemi sapere che ne pensate.
----------------------------------------------------------------------------------------------
MARIANNA
INTRODUZIONE
Marianna non era molto alta, al massimo 1 metro e 70.
E neanche corrispondeva ai canoni estetici dei mass media: troppi chili superflui, un seno troppo abbondante, qualche pelo di troppo…no, decisamente non aveva un fisico da top-model.
Inoltre, secondo i canoni attuali, era trascurata: non si truccava, non aveva pettinature elaborate, vestiva «svogliatamente» (tanto per citare Vasco).
Però i chili erano quasi tutti nei punti giusti, tanto che quel po’ di pinguedine sul ventre non ne rovinava la figura. I peli, poi, non si vedevano molto.
Inoltre, aveva un bel viso dal profilo classico, molto regolare; dei bellissimi capelli, castano scuro, ondulati, lunghi fin sotto le spalle (quando non li teneva legati), molto voluminosi, foltissimi e fluenti; una bella voce, molto profonda, 1 po’ roca, sensualissima; e delle belle mani, morbide e affusolate.
Quello, però, che saltava agli occhi erano le sue curve; soprattutto in estate, nonostante che Marianna non amasse molto scoprirsi: forse per ideologia, forse perché si sentiva grassa, o più probabilmente perché qualsiasi abito, fosse anche una semplice t-shirt, metteva più che in risalto i suoi seni prosperosi, enormi, quasi da maggiorata. Anche il suo «sedere, così rotondo» (citazione per citazione, cito anche Jovanotti) era molto evidente, sotto i jeans stretti.
In effetti, per lei doveva essere un po’ frustrante: qualunque maschio parlasse con lei (anche io stesso, lo confesso) si sentiva quasi costretto a guardarle le mammelle: non solo erano enormi, ma erano anche bellissime, tonde e sode, tanto che spuntavano fieramente dal suo petto (e dalla maglietta) anche senza reggiseno (che di solito non portava).
Insomma, anche se era lontanissima dal tipo “miss Italia”, Marianna era una bonazza. E magari lo era proprio per questo…
Il problema con lei, era quello che le passava per la testa.
Non si trattava tanto del suo carattere, anche se una personalità complicata ce l’aveva: era insicura, e aveva modi un po’ strani per farti capire che le piacevi. Ma, in fondo, ho sempre preferito le ragazze così.
Il problema era che Marianna era un’autonoma.
Sapete che cosa bastarda sono le idee? Tutte le idee?
Vi rendete conto di quanto siano dure a morire?
Non rispondete subito…pensateci bene.
Esistono ancora oggi i cosiddetti “creazionisti”, che prendono la Bibbia alla lettera e son convinti che il mondo sia stato creato da Dio esattamente 5765 anni fa (secondo il calendario ebraico), e che rifiutano in toto le teorie di Darwin. Tra loro ho conosciuto persino brillanti ricercatori scientifici.
Esistono ancora oggi i monarchici: non solo quelli che perorano il ritorno dei Savoia, ma anche quelli che inneggiano al ritorno dei Borboni di Napoli, o dei granduchi di Toscana.
Nel Nord Europa, pare sia stata riportata in vita una “Chiesa di Thor”, che celebra il giovedì come giorno festivo.
I “Wicca” stanno recuperando le tradizioni magiche regionali; e non a scopo di ricerca, ma per praticarle.
I “Promise keepers” americani vorrebbero il ritorno ad un mitico patriarcato. E sono milioni.
Pare che esista persino una “Società della Terra piatta”: gente convinta che il nostro mondo non sia un pianeta sferico, e che il Sole gli ruoti intorno.
Non parliamo poi dei fondamentalismi religiosi…
Se idee come queste, vecchie di secoli e millenni, sono ancora vive e vegete, tanto che milioni di persone ci credono e le propagandano attivamente, perché non dovrebbero essere altrettanto vive idee più recenti, risalenti magari solo a 30 anni fa?
Ecco: Marianna era una di queste persone.
L’Autonomia Operaia del ‘77 è stato uno dei movimenti politici più violenti della storia d’Italia, tanto che molti la mettono sullo stesso piano dell’estrema destra.
Certo, essendo un movimento molto fluido, bisogna distinguere caso per caso, gruppetto per gruppetto. E non bisogna dimenticare mai che esisteva anche un’ala “creativa”, che con i “duri” si scontrò spesso, al grido di “Via! Via la falsa autonomia!”. Nonostante ciò, numerosi erano i gruppi che corrispondono alla descrizione che segue.
Gli autonomi erano composti da gruppi strutturati gerarchicamente (anche se ufficialmente non c’erano capi, c’erano però dei leader riconosciuti de facto), e composti da individui attentamente cooptati e sottoposti ad una vera formazione quadri. Scendevano in piazza compatti, in schieramenti quasi paramilitari, talvolta col volto coperto e attrezzati con armi improprie e bottiglie molotov. Urlavano sempre slogan violenti, quasi sempre all’indirizzo delle cosiddette “forze dell’ordine”, nella dichiarata speranza che queste caricassero i cortei coinvolgendo anche i manifestanti pacifici. Alzavano le tre dita nel simbolo della P38; e talvolta quel tipo di pistola lo usavano davvero. E non perdevano mai occasione di pestare a sangue quelli che non erano d’accordo con loro, a cominciare da quei gruppi di sinistra di cui loro temevano la concorrenza. Più d’una volta, ai danni di questi gruppi “concorrenti” organizzarono vere e proprie spedizioni punitive, ad opera di squadre armate di coltelli.
Inutile dire che approvavano persino l’operato delle BR….
Ebbene, anche le idee dell’Autonomia non sono mai morte: per tutti gli anni ’80 e ’90, gruppetti di emuli di quegli squadristi rossi hanno infestato tutte le manifestazioni “di sinistra”.
Anche oggi, non c’è quasi corteo in cui non siano presenti, sia esso contro la guerra, o la globalizzazione, o quant’altro.
Certo, non raggiungono, neanche lontanamente, la consistenza numerica che avevano i loro padri putativi degli anni ’70. Ma sono fanatici, determinati, organizzati; non hanno paura delle “forze dell’ordine”, anzi, cercano lo scontro con queste ultime. Gli unici che non osano affrontare sono i servizi d’ordine dei grandi sindacati.
Attenzione: non sto parlando dei cosiddetti “Disobbedienti”. Anzi, gli autonomi odiano i disobbedienti: li considerano troppo moderati, dei “riformisti” (per loro è un insulto), dei “carrieristi piccolo-borghesi”. Uno dei loro slogan fa:
“ma quale pacifismo, ma che disobbedienza/
ora e sempre, Resistenza!”
E in effetti, paragonati a loro, i Disobbedienti paiono dei boy-scouts…
Quello che pensano, poi, del movimento che i giornali italiani (solo quelli italiani) chiamano “No Global” è troppo volgare per essere riportato.
Dalla descrizione che vi ho fatto di lei, ve la immaginate Marianna che fa parte di uno di questi gruppi?
Eppure, Marianna era un’autonoma. Non so se avesse mai partecipato a degli scontri (in effetti, ne dubito), ma di certo diceva di condividere quel bagaglio di idee, compresa la solidarietà ai terroristi delle “Nuove Brigate Rosse” e dei fondamentalisti suicidi.
Sarà per questo, oltre che per la mia patologica timidezza, che non c’ho mai provato veramente con lei, anche se mi piaceva da morire, e a modo suo mi aveva fatto capire che le piacevo anch’io.
Il punto è che quel modo di pensare non riesce ad andarmi giù, anche se sono un attivista di sinistra da anni. In effetti, mi piace pensare che è proprio per questo che non mi va giù: in questo modo non aiuti la gente; semmai la sfrutti, la strumentalizzi.
Le nostre discussioni erano sempre state inutili: ciascuno di noi rimase fermo sulle sue posizioni.
Il tempo passò, e il collettivo studentesco di cui facevo parte si scisse tra la mia corrente e quella degli “autonomi”. Poi entrambe si sfaldarono, noi per ragioni anagrafiche (ci stavamo ormai laureando), loro perché gli studenti non li degnavano d’uno sguardo (per fortuna!).
Per questa ragione (e anche per altre, più personali) misi fine a quei 15 anni d’impegno che, sin da quando di anni ne avevo 10, avevo passato tra associazioni di volontariato, centri sociali, comitati, collettivi, coordinamenti, movimenti e gruppi vari.
Così, man mano, la persi di vista. Devo dire, però, che non me l’ero levata di mente: mi piaceva davvero; più passava il tempo e più me ne rendevo conto.
In effetti, ero anche preoccupato per lei: in quali guai avrebbe potuto cacciarsi, quella testa matta?
E manco a farlo apposta, i guai arrivarono.
Ma non avrei mai immaginato che si potessero presentare in quel modo…