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Brutto come la cacca.

Parte IV inviata da fagoshi e caricata in data 30/Gennaio/2005 17:28:54


Fui costretto ad inghiottire quello schifo, giacché appena esitavo il bastoncino per le orecchie veniva adoperato per spingermi sotto. Dopo poco rovesciarono l'intero barattolo nel cesso e tirarono lo sciacquone. Fui la sola cosa a non passare, la forza dell'acqua mi ripulì quasi completamente da quello schifo; mi sollevarono con lo scopettone del cesso e, tirando continuamente l'acqua, mi strofinarono con questo, dolorosissimamente, finché non risultai pulito. Solo allora mi presero, risciacquandomi nel lavandino, mi asciugarono e mi richiusero nel cassetto. Le sentii prepararsi per dormire, udii i loro soliti discorsi scemi e cominciai ad abbioccarmi, quando il tono di voce preoccupato di Francesca allertò in qualche modo la mia vigilanza: “CAZZO! Il floppy disk! È rimasto in casa di quello stronzo! Se qualcuno lo cerca e trova quel floppy potremmo avere dei problemi! Potrebbero accusarci di averlo ricattato e magari d'averlo costretto a fuggire per la vergogna!!!” Eleonora: “Bisogna andarlo a prendere rapidamente, prima che venga qualcuno!

Sentii dei movimenti, non so chi uscì, non so che fecero. In fondo non poteva più fregarmene. Se avevano recuperato il dischetto avevo perso qualsiasi speranza d'essere aiutato, ed avrei compreso se lo avessero trovato o no dal tono di voce allarmato o meno al loro rientro. Sentii le ragazze parlare pian piano, quindi la risposta era scontata. Chiusi gli occhi, sperando che magari quella fosse l'ultima volta. Il giorno dopo... Ascoltai le ragazze che si svegliarono. Mi aspettavo che aprissero il cassetto all'improvviso e mi sottoponessero alla solita pisciata – quella non era mancata mai – e poi, lasciato in pace fino a sera, a tutto il resto. Forse dovevo proprio alle loro pipì il fatto d'essere ancor vivo: nel deserto ed in situazioni d'emergenza quest'uso ha salvato molte vite. Stavolta però le ragazze non andarono nemmeno a pisciare, né nel cesso, né nel mio stomaco; corsero in salotto tutte e 3, come se avessero una cosa importantissima da fare.

Cominciai a muovermi tra le mutande, *magari posso provare a scappare nuovamente... e questo cos'è?*. Era un oggetto tondo, grande poco più della mia testa. Era duro. Odorava di frutta. Lo leccai: era dolcissimo. *un lecca – lecca dimenticato nel cassetto!* – pensai – *l'hanno dimenticato qui... magari l'hanno messo da parte perchè si è rotto lo stelo, infatti non riesco a trovarlo... e poi l'hanno dimenticato!* Lo leccai a lungo, fino a consumarne meno di un terzo, era un lecca – lecca zuccheroso. Mi avrebbe ridato un po' di forze... Il silenzio regnava sovrano. Erano passate 4 ore e più. Decisi di muovermi in quello stupido cassetto, mi arrampicai sulle mutande e cercai di nuovo la parete del cassetto...* ma quanto sono scemo! Perchè tentare di aprirlo!!! Di solito i cassetti hanno la sponda posteriore più bassa, vediamo se ci riesco a passare!*. Cercai questa sponda bassa e la trovai, mi sporsi per passare... ci passavo! Mi lanciai: è un salto da poco...  Volai per parecchio, invece: caddi sul fondo del mobile. Eppure mi mettevano sempre nel primo cassetto da terra! Dovevano avermi messo in quello in cima, allora... Sentii dei passi, stavano tornando: non mi avrebbero trovato nel cassetto, ma se li avessero sfilati tutti mi avrebbero visto in fondo alla cassettiera. Esaminai per bene il retro del cassetto: il bordo del ripiano costituente il fondo del cassetto sporgeva un po' fuori, ci salii sopra e mi aggrappai al retro del cassetto. Appena in tempo: il cassetto fu aperto. Sentii che mi si cercava nella biancheria e non mi si trovava... all'improvviso il cassetto fu sfilato completamente e poggiato sul letto. Mi ritrovai sulle coperte, con il cuscino molto vicino.

MA ERA TUTTO ENORME!!! Ero rimpicciolito ancora... adesso ero alto appena 4 o 5 centimetri!  Dopo un attimo di stupore schizzai verso il cuscino e mi nascondetti sotto le sue curve. Eleonora: “Non lo trovo! Non c'è!!!”. Vennero le altre sorelle a cercare, ma non mi trovarono. Avevano l'aria molto triste, mi sembrò stranissimo... avrebbero dovuto essere infuriate, invece. Misero a soqquadro la stanza, non cercarono tra il materasso e la sponda del letto: mi ero nascosto lì. Uscirono dalla stanza e mi cercarono altrove. *E adesso dove vado, così piccolo? Non posso passare sotto la porta, non posso uscire! E anche se esco, dove vado? Che faccio? Ma che cazzo m'è successo, cosa mi rimpicciolisce ogni volta...* – Un'intuizione m'illuminò. – *...quel maledetto 'veleno' schifoso funziona ancora, fa effetto quando reagisce con la merda che ingoio! Non può che essere così! Dev'essere quel maledetto esperimento segretissimo per il quale lavoravano... ed infatti spesso sono state comperate sostanze come indolo e scatolo, che nessuno ha mai dichiarato di usare ma che invece... maledizione, sono sostanza presenti negli escrementi! Quel maledetto esperimento è segretissimo, se torno in laboratorio così conciato mi faranno sparire loro! Sono perduto...* Mi crollò il mondo addosso. Ero piccolissimo e non avevo nessuna possibilità d'essere aiutato, nemmeno se le ragazze avessero voluto.  Un elastico pendeva sotto il materasso, doveva essere quel tipo di elastici che si usano cucire all'interno degli angoli dei lenzuoli perchè aderiscano al materasso. Lo usai per scendere a terra. Mi trovai sul pavimento gelato, ispezionai un poco il luogo. Avrei potuto vivere come uno scarafaggio in casa. Solo questo. Uscire in giardino voleva dire far la fine di molte lucertole, divorate a cominciar dalla testa da qualche gatto affamato. Quante volte vidi scene così; mai pensavo che sarei potuto essere al posto della lucertola. Ero ancora sotto il letto quando rientrarono le ragazze. Piangevano. Credevano che fossi scappato nottetempo, poiché avevano trovato la porta della stanza aperta, porta che invece una di loro, alzatasi mezza addormentata per andare in bagno, aveva lasciata aperta. Dicevano d'essere stati dei mostri, che non avrebbero dovuto essere così cattive con una persona come me. *Ma che ne sanno di me!!! Vigliacche... sanno che sono ancora qui e cercano di farmi uscire allo scoperto per... e che me ne frega! Ho alternative? No!!! E allora esco!!!*.

Mi incamminai da sotto il letto, stavo per uscire, ma... un colpo terribile. Buttarono un oggetto sotto il letto, era enorme quanto un palco da concerto rock, mi fu sopra dalla cintola in giù.  Non mi spiaccicò a terra, ma comunque mi fracassò il bacino e le gambe. Ero steso supino a guardare le gigantesche molle del letto; chinai appena un poco la testa in avanti ed osservai l'oggetto che, quasi certamente, avrebbe rappresentato la mia fine. Era largo, rettangolare appunto come un palco; sembrava costituito da due enormi ripiani verdi agli estremi e da varie tavole di diverso colore in mezzo... *Che destino beffardo, essere schiacciato da una scatola di giocattoli*, pensai. Chiusi gli occhi e pensai a tutto ciò che era successo sino ad allora, mi passò tutta la vita davanti agli occhi – e quando succede ciò, puoi star certo che sta giungendo la tua ora – sino a quella maledetta scatola con ripiani a colori alterni: nero, blu, viola, grigio, nero, grigio scuro... ed in ultimo marrone, poi un vasto spazio bianco... Violenta illuminazione. Quello era il mio diario. Il diario che avevo iniziato a scrivere a 7 anni alle elementari, il cui bordo delle pagine avevo tinto, per quella prima volta, di nero. Era composto di non più di 200 pagine scritte, ed un altro centinaio ancora bianche. Non era un diario giornaliero, lo scrivevo solo una volta l'anno, a Natale, quand'ero solo ed abbandonato più che mai e scrivevo in dieci – quindici pagine il resoconto delle disavventure dell'anno appena trascorso, i miei desiderii mai avverati, le ragazze sempre viste e mai sfiorate, e coloravo il bordo delle pagine di ogni anno con un colore diverso, ma sempre cupo. Alla fine di ogni triste resoconto c'era una piccola poesia, scritta di cuore sul foglio tutto ondulato dalle lacrime che versavo quando constatavo che l'anno passato era andato sempre peggio del precedente.

Verso le ultime pagine c'era un foglio scritto, era stato messo lì da me da pochissimo tempo, forse come promemoria per la prossima stesura. C'erano poche rime scritte, non proprio poetiche. Era un foglio che fu avvolto intorno ad un floppy disk. Conoscevano sì, ora i miei segreti, le mie sofferenze. Sapevano anche che loro per me erano bellissime, ma che le trattavo con sufficienza e fastidio proprio perchè non sarei mai stato loro simpatico. Improvvisamente il diario venne sfilato da sotto al letto, trascinandomi con lui con lancinanti dolori. Fui allo scoperto e mi videro. Francesca, stupita, esitò un po', poi aprì il diario e prese proprio quel foglio e lo adoperò per mettermici su e sollevarmi sino alla scrivania. Erano meravigliate, giacché ero rimpicciolito ancor di più, ma la meraviglia non cancellò le loro espressioni disperate. Erano arrossate in viso, rigato di lacrime. Anche loro non sapevano che fare. Tentai di sollevarmi, ma non riuscivo a muovere le gambe. Il mio stesso diario doveva avermi rotto la spina dorsale vicino al bacino, non sentivo niente dalla vita in giù. Non riuscivo nemmeno a parlare, comunque non mi avrebbero udito. Mi mossi penosamente sulla scrivania, mi diressi verso un blocchetto di fogli bianchi. Guardai sul tavolo ed indicai qualcosa. Fiamma capì, prese la matita a micromine e ne sfilò una, che spezzò a metà, e me ne porse un pezzo. Presi quello che me era un pezzo di grafite grande come un grosso pennarello, lo premetti a due mani sul foglio e scrissi qualcosa.

Fine.


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