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JOYCE E LE SUE AMICHE

Parte II inviata da Mick e caricata in data 08/Febbraio/2003 17:14:15


L'atmosfera eraalquanto vivace: Joyce si unì al gruppetto delle quattro amicheche come lei avevano appreso la straordinaria novità. Attornoalle loro case volavano degli elicotteri in miniatura: alcunisembravano essere militari, altri, di colore diverso,probabilmente erano di qualche televisione. Tutto questo non feceche aumentare l'eccitazione di Joyce. Jessica, coetanea di Joyceteneva sul palmo della mano quella che prima era stata la suaautomobile: la familiare appariva ora un meschino giocattololungo circa 7 centimetri e per giunta ammaccato dalle dita pocodelicate della sua padrona. Stava dicendo che quella mattina nonera riuscita a trovare il marito: forse era riuscito a fuggire,forse si era perduto, forse gli era andata anche peggio. Joyceesordì: "Allora ragazze, che si fa?". Linda rispose"Come sarebbe, "che si fa"? Mica dipende da noitutto questo casino!". "Intendevo dire: ce ne restiamoqui buone buone a fare i lavori di casa, oppure andiamo a farciun giretto qui fuori?"; "Ma che hai, sei impazzita? Mati rendi conto di quanto grandi siamo?". Le donnecominciarono ad enumerare tutti i tipi di danni che potevanoessere causati da un'eventuale loro passeggiata all'esterno, delfatto che la popolazione poteva esserne spaventata eccetera!

Ma Joyce, ormai erapresa dall'idea di poter interpretare il ruolo della gigantessanella grande città; era perfettamente conscia del fatto che ilsuo potere in quel momento era enorme e che praticamente nessunoavrebbe potuto fermarla. Diceva: "Ma via, un giretto fino incittà, che male ci può essere? Vedere il mondo da un'altraprospettiva! È un'occasione che non capita spesso nella vita.Avremo letteralmente il mondo ai nostri piedi!" Con il suodiscorsetto, era riuscita a creare una sorta di turbamento nellecompagne: Amy sembrava sul punto di voler venire con lei, ma noncedeva ancora, le altre invece proprio non se la sentivano dicompiere una simile impresa. "Va bene, vorrà dire che andròavanti io|" e si incamminò lungo il vialetto. Lindaconcluse: "Ho paura che succederà un bel po' di confusione".

Joyce percorreva dasola il vialetto che usciva dal loro quartiere: sì era propriouna giornata meravigliosa. Il senso di benessere che l'avevaaccolta al risveglio non l'aveva abbandonata, tutt'altro.Camminava al centro della strada asfaltata, non dava intralcio anessuno. Notò sotto il bordo del marciapiede una colonna diveicoli verdi, probabilmente militari. Non se ne curò e passòoltre. Pochi metri dopo l'ampio vialetto si interrompevabruscamente: oltre una linea netta diventava un minuscolosentierino grigio, su cui avrebbe potuto camminare solo mettendoun piede dietro l'altro. Lo fece: il sottile manto d'asfalto sisbriciolava e sprofondava per circa un centimetro (nella suascala) sotto i suoi sandali estivi, i lampioni sui lati venivanoatterrati come se fossero dei fili d'erba. Poco più avantiscorreva l'autostrada che correva diritta nel cuore della grandemetropoli, a quell'ora molto trafficata. Si fermò al bordo dellagrande arteria di comunicazione, indecisa (ma neanche tanto) sulda farsi.

Lasciò che peralcuni istanti gli attoniti viaggiatori guardassero il suo corpomonumentale, provocando una serie di tamponamenti, poi decise cheera ora di muoversi. Il suo piede sinistro piombò sullacarreggiata che correva nel senso opposto al suo, il destro sullacarreggiata a fianco. Alcune auto si schiantarono contro lecolossali estremità di Joyce, con esiti catastrofici per i lorooccupanti. Si stava scatenando il panico, la donna guardava inpreda all'euforia il traffico impazzire ai suoi piedi. Decise dinon arrestare i suoi passi incurante della sorte dei miseriveicoli che si fossero trovati sul suo cammino; decine di auto ecamion furono schiacciati in pochi secondi sotto i suoi piedilunghi 16 metri; un'autocisterna di combustibili saltò in ariacome un fiammifero al contatto con il suo sandalo, scatenando l'inferno.

Fortunatamente dopoquei primi istanti, la maggior parte dei viaggiatori riuscì aduscire dai veicoli e a mettersi in salvo gettandosi sui prati aibordi della strada. Poco distante di lì, due ragazzi, Pete e Tim,stavano viaggiando in automobile ed erano ancora ignari dei fattidella notte precedente; ad un tratto vennero distolti da unafigura umana che cammina in lontananza, ma c'era qualcosa distrano in lei: cazzo era enorme! 120 metri di femmina checamminava probabilmente lungo l'autostrada che correva mezzochilometro davanti a loro scavalcando la strada secondaria su cuisi trovavano. La gente scendeva dalle loro auto per guardareesterrefatta: non era un ologramma o qualcosa di simile, eraqualcosa di veramente grande, a giudicare da come squassava ilterreno sotto i suoi passi. Inoltre aveva qualcosa di familiareper i due giovani, sembrava proprio la signora Monroe, quella cheabitava vicino a Janet, la loro compagna di liceo. Ma cosa stavafacendo? Stava devastando l'autostrada: il grande cavalcavia pocodavanti a loro venne frantumato non appena Joyce gli posò soprail suo sandalo. Incredibile! e stava proseguendo verso la città!Eche cosa poteva essere successo a Janet?

Vollero andare acontrollare, senza nemmeno provare a rendersi conto di quello chestava succedendo. I due risalirono sul pick-up, decisi aripercorrere all'indietro i passi della gigantessa rossa, mentrela maggior parte della gente rimaneva interdetta e alcunitemerari provano invece a raggiungere la città per vedere checosa sarebbe successo. L'autostrada sembrava un campo dibattaglia, disseminata di crateri lunghi 20 metri e profondialmeno uno sul cui fondo si intravedevano resti di cose e persone.Più avanti si vedeva un falò attorno ai rottami di un'autocisterna,alcune auto si erano gettate nella campagna circostante perevitare la fine, qua e là si vedevano gruppetti di persone sottoshock, altri chiedevano aiuto. Ma i due proseguirono fermamente:in lontananza si vedevano degli edifici enormi: erano proprio lecase del quartiere dove vivevano Joyce e Janet: allora forseJanet non era in pericolo a causa Joyce, come avevano temuto;forse anche lei aveva le stesse dimensioni.

Intanto la radiostava invitando la popolazione a mantenersi alla larga proprio daquella zona e consigliava a quanti si trovassero in città dimantenere la calma. Probabilmente Joyce vi stava entrando in quelmomento. Un breve consulto sul da farsi: all'interno delquartiere si trovavano presumibilmente alcune persone didimensioni mostruose: entrarci avrebbe significato probabilmentefinire spalmati al suolo, magari accidentalmente, magari perdivertimento, da quelle persone. Ma la tentazione era fortissima:va detto che Pete e Tim avevano in comune un'intensa passione perle gigantesse e per i piedi femminili. Fino a quel momento laloro passione era stata solamente virtuale, certo non avevano maipensato che un giorno avrebbero potuto vedere dal vivo leprotagoniste delle loro fantasie. Decisero quindi senza indugiodi entrare nel quartiere. Attraversata quella che era la linea diconfine tra il loro mondo e quello nuovo che si accingevano adesplorare, tutte le cose attorno a loro, strada compresa, siingigantirono raggiungendo la scala di Joyce.

Incontrarono unuomo che fuggiva da lì terrorizzato e che tentava di distoglierePete e Tim dall'impresa. "Siete pazzi, sono enormi, vischiacceranno come formiche". I due proseguironoimperterriti, quasi galvanizzati da quella prospettiva. Joyceoramai era alle porte della città. Aveva abbandonato l'autostradain prossimità di un enorme svincolo (che ovviamente avevadistrutto) ed ora si stava addentrando nella periferia. Eramoderatamente soddisfatta di quello che aveva compiuto fino aquel momento: la sensazione di dominio assoluto che aveva provatodistruggendo quelle centinaia di automobili aveva accresciutoancor di più il suo senso di benessere. Provava un naturalesenso di disprezzo per tutto quello che la circondava: la grandecittà ora non le sembrava davvero più tale, il senso di unpotere consolidato che fino al giorno prima avevano espresso igrattacieli a cui si stava avvicinando era completamente svanitodi fronte a lei, semplice casalinga che, senza disporre di nient'altroche del proprio corpo si apprestava a mettere in discussionequell'immagine di onnipotenza.

In quel momentostava percorrendo un viale piuttosto squallido circondato daedifici che faticavano ad arrivare più in alto delle suecaviglie. La strada era quasi deserta, aguzzando la vista potevavedere qualche sparuto passante agli angoli degli edifici chegettava timoroso uno sguardo al colosso che stava transitando confragore. Alcune auto parcheggiate lungo il viale vennero stampatesull'asfalto con noncuranza dall'enorme gigantessa che oramaimirava solamente a raggiungere il cuore della metropoli. Un'autodella polizia catturò l'attenzione di Joyce. Le stava correndoincontro a velocità folle, riusciva a stento a udire la stridulasirena. Il piede destro della donna atterrò, sprofondando percirca mezzo metro nell'asfalto, proprio davanti all'auto che nonsarebbe riuscita a fermarsi in tempo. Joyce, prevedendo l'impatto,inarcò verso l'alto le dita del piede, in modo tale che lamacchina terminò la propria corsa andando ad incastrarsi tra lapunta del sandalo e le possenti dita.

Perfetto: glisbirri erano in trappola, pensò Joyce; faceva veramente unostrano effetto vedere delle persone così temute da tutti inquella posizione. Tenendo il tallone puntato a terra, la spietatagigantessa sollevò la punta e riuscì, con molta attenzione, adinghiottire l'intera auto tra il sandalo e la pianta. Ipoliziotti all'interno della macchina erano rimasti coscientidurante tutta l'operazione e stavano vivendo degli attimi diterrore puro. Cercarono disperatamente di uscire fuori, ma l'autoaveva già subito dei danni e non c'era modo di aprire glisportelli. Da quella posizione potevano contemplare ogni minimomovimento della pianta rugosa della fenomenale femmina. Unleggero aumento della pressione sulla macchina spensedefinitivamente la fastidiosa sirena e mandò in frantumi ilparabrezza. e tutti i vetri.

I poliziotticercarono di uscire di lì, ma era troppo tardi: Joyce decise diporre fine al loro supplizio scaricando tutta la sua potenzacontro la vile pattuglia. Il risultato era scontato: macchina epoliziotti furono spiaccicati in maniera praticamente istantanea.Quello che tuttavia aveva scosso la gigantessa era stata l'intensitàdelle sensazioni che aveva provato. Senza pensarci più di unsecondo, Joyce si sfilò rapidamente i sandali gettandoli controun fast-food lì vicino e lasciò la più completa libertà allecolossali piante di conoscere ciò che calpestavano. Così andavamolto meglio, pensò. Le sensazioni dell'asfalto caldo che sisbriciolava sotto i 60 metri quadri di ciascun piede eranoestremamente piacevoli: ah, che cosa si stavano perdendo le sueamiche! Si guardò attorno, era circondata da tre elicotteri chele ronzavano attorno in maniera alquanto fastidiosa: di certogradiva la loro attenzione su di lei, ma decise che dovevaliberarsene. La cosa fu fin troppo semplice: i poveri velivolierano troppo lenti in confronto a lei.

Notò che uno stavaper transitare davanti a lei: fece due passi e con un rapidomovimento allungò la mano e la chiuse violentemente su di esso.Al primo contatto con le dita l'elicottero esplose e Joyce lasciòcadere a terra un pugnetto di rottami infiammati; volse unosguardo agli altri seccatori e vide con soddisfazione chebattevano rapidamente in ritirata. Notò con un'ombra di stuporeche le sue mani non recavano alcuna traccia di taglio o discottatura, la sua pelle rea rimasta perfetta. Poteva dunqueproseguire per il centro della città, a passi da gigantessa...

Continua...



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