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JOYCE E LE SUE AMICHE

Parte III inviata da Mick e caricata in data 08/Febbraio/2003 17:15:45


Mike guardava quasi ipnotizzato la figurache si stava avvicinando. Quella mattina tutto sembrava essereimpazzito. Non aveva ben capito che cosa stava succedendo, anzisi era rifiutato di capire. Ora stava fissando dalla stradaquella figura di donna che sembrava essere ancora lontana eappariva da una prospettiva incredibile. A qualunque cosaprovasse a paragonarla era enorme...forse perché eraeffettivamente enorme. Sentiva anche il terreno tremare, dapprimaera un brontolio sordo, indistinto, poi sempre più forte ecadenzato. Anche i lampioni gli alberi ed infine gli edificicominciarono a tremare sotto quello che sembrava un bombardamento.

Ora la gigantessa era giunta veramentevicina, poteva distinguere nettamente la sua figura svettaresopra i modesti edifici circostanti, da ogni singolo movimentodel suo corpo traspariva l'immensa energia che lo animava.Camminava lentamente, si guardava attorno con fierezza,esprimendo una superiorità che non temeva confronti. Il piededestro della mostruosa figura piombò ad una cinquantina di metridi distanza da lui, facendolo quasi cadere a terra. Quando rialzòlo sguardo, il cielo era interamente occupato dalla pianta delpiede sinistro che si avvicinava inesorabilmente.

Gli ultimi istanti della vita di Mikepassarono al rallentatore: oramai era sotto il piede dellagigantessa, dalla pelle si staccava qualche pezzetto di asfaltoche la gigantessa aveva sbriciolato nel compiere il passoprecedente; l'immane tallone si stava avvicinando sempre di più:protese le braccia in alto per tentare di fermarlo. Nel suoultimo pensiero si chiese se la colossale donna sarebbe riuscitaa sentire il suo corpo spiaccicarsi sotto il suo peso.

Intanto, Pete e Tim procedevano con l'autoappena sotto il bordo del marciapiede, in modo da destare laminima attenzione possibile negli abitanti della zona. Ad uncerto punto, dalle scosse sismiche, intuirono di essere vicini aqualcosa di grosso. Prudentemente, arrestarono il motore, inattesa di nuovi sviluppi, che non tardano ad arrivare. Da dietro una staccionata si materializzò una ragazza bionda (avràavuto 18-19 anni al massimo) alta i suoi bravi 100 metri, seguitaa ruota da un esemplare della stessa specie, questa invece con icapelli scuri. "EHI GUARDA QUI, KIM, NE HO TROVATO UN'ALTRA,UN FUORISTRADA ROSSO". Le due si avvicinarono immediatamenteal pick-up di Pete e Tim, che credettero fosse giunta la fine. Idue videro, quasi al rallentatore, i piedi della biondina dentroun paio di ciabatte da mare azzurre andare a schiantarsi a pochimetri dal fuoristrada, mentre la moretta, scalza, le era a fianco;la mano enorme della ragazzina calò dall'alto, afferrò lamacchinina e la mise con delicatezza in un cestino dove eranopresenti altre automobili.

Pete e Tim non ebbero il tempo di farenulla: le due ragazzine non si erano minimamente accorte dellaloro presenza all'interno della vettura e ora proseguivanocamminando allegramente, a giudicare dai violenti scossoni e daipotenti rumori. "ECCONE UN'ALTRA", dopo un istantearrivò una jeep dell'esercito ad aggiungersi al parco macchinedelle due giovani gigantesse. Di seguito si sentì la biondina" ORA NE ABBIAMO ALMENO VENTI, BASTANO PER GIOCARE", Pete e Tim tirarono un sospiro di sollievo, probabilmente l'avrebbero scampata, "È DAVVERO DIVERTENTE DISTRUGGERE LE MACCHINEVERE, NON PENSAVO CHE FOSSE COSI' FACILE"; e subito l'umoredei due giovani peggiorò. "HAI RAGIONE, EMILY, PRIMA NE HO SCHIACCIATA UNA A PIEDI NUDI, NON FA MALE, ED È ANCHE PIU BELLO" aggiunse la morettina.

La passeggiata delle due baby-amazzoni siarrestò bruscamente, le mani delle colossali ragazze ritornarono dentro il cestino, estrassero ad una ad una le macchine prelevate e le disposero, ben distanziate una dall'altra, sul terrazzo di una casa. Miracolo: le due gigantesse siallontanarono per alcuni istanti, consentendo ai due occupanti disgattaiolare fuori dal pick-up per ripararsi accanto ad una gambadi una sedia a sdraio lì vicino. Videro che circa metà delleauto raccolte dalle due erano jeep militari, c'era persino uncamion; i loro occupanti se l'erano data evidentemente a gambelevate.

Incredibile considerare come dueragazzine, che il giorno prima erano così innocue, fossero ingrado di trastullarsi con i mezzi dell'esercito più potente delmondo. Kim ed Emily furono di ritorno in pochi istanti. "ECCOLE DUE TERRIBILI GIGANTESSE!", annunciò Kim. Susuggerimento dell'amica, la biondina si sfilò le ciabatte, preparandosi al "crush festival": le due in pochisecondi spiaccicarono il parco macchine messo insieme nella lorobreve caccia. Tim guardò con tristezza scomparire il suo pick-upsotto il tallone della morettina, mentre Pete letteralmente vennenei pantaloni alla vista di quello spettacolo: il camion militarescomparve alla loro vista, coperto interamente dal piede di Emily. "PECCATO, GIÀ FINITE. SE LA MAMMA MI LASCIASSE ANDARE FUORIDAL QUARTIERE, PERÒ!". Con questa frase le due siallontanarono.

Pete disse a Tim: "Andiamo, vediamose riusciamo a trovare Janet." "Vediamo se lei riesce atrovare noi!" E si diressero con circospezione verso lavicina casa della loro amica. Intanto in città stava succedendoil finimondo. Le radio lanciavano messaggi preoccupanti eincomprensibili, spesso in contrasto tra di loro. Oliver, allaguida del suo taxi, non riusciva a capire il motivo dell'estremaconfusione in cui era caduta la città. Non capiva nemmeno lacausa delle forti vibrazioni che aveva cominciato a sentire daqualche momento. Circondato da edifici alti una cinquantina dimetri, non era in grado ancora di scorgerne la causa. Era fermoad un semaforo; all'accendersi del verde le auto davanti a luipartirono, arrivarono al centro dell'incrocio e scomparvero sottoun immenso piede femminile che procedeva nella direzioneperpendicolare alla sua.

Non riuscì ad evitare di andare asbattere contro il bordo esterno di quel piede che dopo unsecondo già si stava sollevando per andare a schiantarsi qualchedecina di metri più avanti. Joyce prestò poca attenzione alcontatto con il taxi di Oliver; prestava più attenzione alleauto che esplodevano al contatto con le sue estremità, o chevenivano stritolate senza pietà sotto il suo enorme peso. Lestrade in cui camminava si facevano sempre più trafficate: perlei era oramai praticamente impossibile calpestare l'asfalto nudo:era costretta a camminare su un irregolare tappeto di macchineabbandonate all'ultimo momento dalla folla in delirio che siriversava fuori dagli edifici in cerca di scampo. Fuggivano anchei poliziotti: niente potevano contro di lei le pallottole sparatedalle loro ridicole pistole. Si divertì a sminuzzare un paio diloro macchine con le unghie delle mani, così, per dare un'ulterioredimostrazione della sua superiorità, se mai fosse statanecessaria. Man mano che procedeva, gli edifici diventavanosempre più alti; oramai era davvero a pochi passi da cuore dellametropoli. Solo alcuni grattacieli riuscivano a superarla inaltezza. La situazione era strana: dei rumori della cittàsentiva soltanto un brusio lontano ed indistinto, la suapercezione delle cose era soprattutto tattile.

Notò con piacere quanto era possente lasua figura riflessa dalle lucide superfici dei palazzi: chi sitrovava al venticinquesimo piano poteva ammirare il suo ombelicoe solo dal quarantesimo si poteva guardare dritto nei suoi occhiinsensibili alla devastazione che stava portando. Sì, in quelmomento si stava davvero divertendo. Pete e Tim entrarono nellacasa di Janet. Ci erano già stati altre volte, ma vista daquella prospettiva era davvero un'altra cosa. Tutte le porteerano socchiuse o spalancate, probabilmente la loro compagna erain casa anche se ora non riuscivano ad avvertirne la presenza.Sapevano che i suoi genitori in quel momento erano in viaggio,per cui avrebbe dovuto essere sola in casa. Si fermaronoprudentemente sotto il divano della sala, in attesa di sviluppi.Finalmente udirono dei tonfi che inequivocabilmente informarono idue della presenza di Janet probabilmente nella stanza accanto.

La udirono spostarsi lungo il corridoioin un'altra stanza; alcuni istanti di silenzio e si sentì loscroscio della doccia. I due si guardarono negli occhi, incredulidi fronte a quella prospettiva, e corsero come degli indemoniativerso il bagno. A questo punto va precisato che Janet era davverouna ragazza con un fisico degno di nota. Aveva 19 anni e giocavacon discreti risultati a pallavolo: era alta un metro eottantacinque, di carnagione leggermente scura, capelli neri elunghi e occhi castani. I due rimasero quasi storditi quandovidero il suo corpo attraverso i vetri della doccia: enorme ebellissima. L'acqua e il doccia-schiuma scorrevano lungo il suocorpo muscoloso, lungo il seno esuberante fino giù ad una vulvadi dimensioni semplicemente terrificanti: un vagone ferroviariovi sarebbe potuto entrare senza alcuna difficoltà per quasitutta la sua lunghezza. Lo spettacolo durò per alcuni minuti.

I due giovani rimasero immobili appenasotto il lavandino anche quando Janet, ancora ignara della loropresenza uscì dalla doccia per asciugarsi. Pete e Tim non lestaccarono gli occhi di dosso per un istante. Oramai Janet avevaquasi finito di asciugarsi quando notò la presenza delleminuscole figure sul pavimento del bagno. "EHI, MA…"Si chinò giù per vedere da vicino chi fossero gli intrusi; liriconobbe. "MA, TIM! PETE! SIETE VOI? HA HA HA HA, MA CHEFATE QUI IN CASA MIA?" Non era per niente imbarazzata, anziera divertita della presenza dei due ospiti e continuava adispiegare davanti a loro la potenza della sua femminilità. Idue giovani non sapevano che pesci prendere, in loro l'eccitazionesuperava il terrore per essere stati scoperti. Janet prese l'iniziativa:protese la mano verso i due "SALITE, ANDIAMO DI LÀ IN SALA,HA HA HA HA".

I due salirono non senza qualchetitubanza sul palmo aperto dell'amica che si rialzò lentamente e,completamente nuda e con i capelli ancora bagnati, si diresseverso il salotto.

La passeggiata di Joyce per le vie dellacittà era durata abbastanza da attenuare alquanto il bisognoimpellente di schiacciare tutto quanto si trovasse sulle strade.Il bottino, se così si può dire, che aveva raccolto eraimpressionante: migliaia di veicoli spiaccicati sull'asfalto,poteva distruggere completamente o quasi anche otto macchine conun solo passo. Tra le sue vittime poteva contare anche alcuniautobus, furgoni e perfino un paio di limousine.

Le strade su cui era passata erano benidentificabili dalle profonde impronte sul cui fondo spiccavano icolori (specialmente il giallo) di patacche di metallo informi.Ogni tanto, dietro di lei, avvertiva delle esplosioni dovuteprobabilmente ad una fuga di gas dalle condutture che avevadivelto. Ora aveva voglia di passare a qualcosa di piùconsistente. Avrebbe potuto benissimo cominciare con la sededella sua banca, un bell'edificio interamente coperto dasuperfici riflettenti, alto all'incirca una decina di piani.Dunque ben poca cosa di fronte al corpo della loro cliente. Dall'ingressofuoriusciva qualche atterrito impiegato che non sapeva se sarebbestato più sicuro per la sua incolumità rimanere dentro o fuoridall'edificio. Joyce sollevò il piede destro ben al di sopra delpalazzo e cominciò a calarlo lento ed inesorabile. Il contattocon il soffitto, liscio e caldo, le diede una piacevolesensazione.

Un leggero aumento della pressione lepermise di affondare al suo interno fino al ginocchio: sentivadistintamente ogni singolo piano sfondarsi sotto il suo peso.Oramai la solidità della costruzione era minata in manieradefinitiva: un paio di calci ben assestati ridussero la sua exbanca a un simpatico mucchietto di macerie. Ancora trovava cheera stato un po' troppo facile. Forse un palazzo con i vetririflettenti di un'importante compagnia di telecomunicazioni, acui era abbonata, le avrebbe dato più soddisfazione. Si avvicinò,l'edificio era un po' più basso di lei e, aguzzando lo sguardo,notò che non era stato evacuato completamente. Poco importava:caricò il suo pugno grande più di una casa e lo abbatté sullasommità dell'edificio. Quasi tutte le vetrate esterne esploseroin mille frantumi, i piani più alti furono devastati in unanuvola di macerie tra un groviglio di travi d'acciaio contorte.

Dopo alcuni altri pugni ed un paio dicalci il palazzo aveva praticamente cessato di esistere. Un altrograttacielo, questa volta più alto di lei, fu scelto da Joyce.Prima di aggredirlo, decise di esplorarne un contenuto: la suamano destra perforò facilmente la parete esterna e si infilòtra i piani dell'edificio. Tastando riusciva a sentire bene lestrutture e gli arredi di un moderno ufficio, forse le capitòper le dita anche qualche persona, finché la sua mano non arrivòdall'altra parte del grattacielo. Estrasse quindi il braccio dall'edificioe seguì la procedura collaudata in precedenza per raderlo alsuolo. Il grattacielo accanto fu invece atterrato dallapotentissima gigantessa con una mossa di arti marziali: unaimmane pedata spezzò in due l'enorme edificio che rovinò alsuolo danneggiando pesantemente gli altri palazzi.

Joyce continuò la distruzione per alcunialtri minuti, fino a cambiare notevolmente la fisionomia dellacittà. Finalmente, completamente soddisfatta, decise di sedersisu un palazzo di circa venti piani che ovviamente collassò sottoal suo sedere. Aveva provocato più danni di quanto avesse potutominimamente immaginare un paio d'ore prima e la sua pelle nonaveva subito nemmeno un graffio. Le piante dei piedi avevanoassunto semplicemente un leggero colore brunastro e non recavanoquasi traccia dell'immane disastro appena compiuto. Il senso diestremo benessere che l'aveva accolta quella mattina non l'avevamai abbandonata e si era anzi tramutato in esaltazione daonnipotenza. Seduta sul cumulo di macerie, notò che davanti alei si era radunata una piccola folla di curiosi che avevarinunciato a darsi alla fuga per godersi lo spettacolo dellagigantessa rossa seduta nella loro città. Interessante, pensòJoyce.

Continua...



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