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Goldberg ha inviato un messaggio dal titolo:
Nuova storia: Amirah, L'Eterna ed ha ricevuto
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messaggio inviato in data:
26/Agosto/2012 11:55:50
Salve a tutti. Voglio condividere con voi una nuova storia. Avverto fin da ora che le mie storie non sono le normali schiaccia/mangia/infila, non troverete un'azione immediata, perchè questo è il mio stile di scrittura, e ne vado molto orgoglioso. Di sicuro attrarrà molti meno fan di altri generi più "diretti", ma sarebbe andare contronatura, per me, se scrivessi in quel modo.
Per me è importante che ogni personaggio, elemento, evoluzione abbia la propria collocazione, un'adeguata importanza e che il tutto risulti armonico.
Auguro una buona lettura a quanti di voi si cimenteranno nella lettura di questo racconto.
Prologo
Amirah, L’eterna
Caro lettore,
quella che voglio raccontarti è forse la storia più assurda che tu avrai mai letto, eppure è la più veritiera. Se sono qui a picchiettare sui tasti del computer, è perché lei ha voluto che io lo facessi. Nessuno è mai sopravvissuto a un rendez-vous con lei, perché di solito è proprio il suo volto, l’ultima cosa che vedi, prima di scomparire, per sempre.
Oltre che per te, carissimo lettore, scrivo prima di tutto per me, così che io riesca a mettere nero su bianco ciò che ho vissuto, e che conservi intatto il mio equilibrio psicologico, perché più di una volta ho rischiato il delirio.
Ebbene sì, ho sfiorato la pazzia, ne ho sentito le calde braccia stringermi, avvinghiarmi in una morsa dalla quale è quasi impossibile divincolarsi, anzi, è certamente più facile lasciarsi cullare in quest’abbraccio e abbandonarsi a un vaneggiamento senza fine, in cui il tempo e lo spazio perdono ogni importanza.
Eppure sono tornato, e l’ho fatto perché lei l’ha voluto. Posso assicurare che quella che stai per leggere è la pura verità. Nemmeno voi avreste dei dubbi al riguardo se aveste vissuto la mia stessa esperienza.
Lei è l’unica eterna, cammina fra noi da così tanto tempo che la noia è diventata la sua più acerrima nemica e nello stesso tempo la più inseparabile compagna di viaggio. Forse è proprio in virtù di questa noia che io sono ancora qui, perché lei ha voluto che io tornassi e scrivessi la sua storia.
Probabilmente nessuno la prenderà sul serio, così come le storie di fantasmi, o le più moderne sui vampiri romantici, ma a lei va bene così. E’ bene, almeno per lei, che gli uomini non si curino della sua presenza, che non ne sospettino l’esistenza. E penso che lo sia anche per noi, comuni esseri umani. La mia vita è cambiata così radicalmente da quando l’ho conosciuta, che tutto ciò che prima reputavo importante adesso è insignificante: il lavoro, le amicizie, gli amori, i sogni.
Oramai io vivo in funzione della sua promessa, tutto il resto non conta più. Io scriverò la sua storia, e una volta terminato, lei mi riprenderà con sé, perché è la cosa che voglio più di ogni altra cosa al mondo.
Quindi, miei cari amici (permettetemi di chiamarvi così), lasciate che io vi racconti la sua storia, così che il mio supplizio abbia fine, ed io possa finalmente tornare da lei, Amirah, l’unica e sola eterna.
Capitolo uno
“Queste sono le chiavi, è tutto confermato. L’auto che avete noleggiato la troverete al vostro arrivo a Ibiza.” ci annunciò sorridente la solerte impiegata dell’agenzia di viaggio. Finalmente l’avevamo: una casetta affittata a Ibiza, per due settimane in Agosto. Dopo un anno di lavoro e sacrifici, eravamo riusciti a mettere da parte abbastanza soldi da poterci permettere due settimane nel fulcro della movida mondiale.
Non era la prima volta che ci andavamo, anzi, era la quarta, ma i miei amici ed io abbiamo sempre pensato che a duri sacrifici corrisponde un giusto premio. Così Marco, Fabrizio ed io, eravamo riusciti ad accaparrarci una splendida casetta. Dopo tre volte in albergo a due stelle, con la stanza piena di puzza di frittura della cucina sottostante, la piscina sporca e il menu che lasciava molto a desiderare, avevamo optato per questa soluzione.
Dal canto mio avevo preparato migliaia di cocktail per altrettante persone, elementi che normalmente non vorrei incontrare nemmeno a un funerale. C’erano volute attenzioni e riguardi per tipi che meriterebbero al massimo una bottigliata in pieno volto. Eppure, così facendo, ero riuscito a racimolare abbastanza mance da permettermi questo piccolo lusso.
I miei amici lavoravano con me, ma come camerieri, e se i miei sforzi erano stati imponenti, i loro erano stati anche maggiori, perché al tavolo è ancora peggiore.
Ormai non importava più, perché eravamo in Maggio, e sapevamo che ad Agosto i nostri sforzi sarebbero stati ricompensati.
In quel momento, mai avrei creduto che quell’estate avrei incontrato colei che mi ha cambiato la vita per sempre. Tutto quello che riuscivo a immaginare era sesso con straniere brille, alcol a fiumi e serate nei locali più in voga di Ibiza.
Quanto mi sbagliavo…
Più tardi, lo stesso giorno, ero a casa, nel piccolo bilocale che avevo affittato per conto mio. Era davvero comodo non dover più limitarsi per la presenza di genitori e fratelli. Potevo tranquillamente bere birra alle undici del mattino senza che nessuno mi dicesse che era troppo presto. Soprattutto, potevo disporre liberamente del mio pc, senza avere più la preoccupazione che qualcuno scoprisse il mio “lato oscuro”, la passione per quel particolare tipo di feticismo, la Macrofilia, o detto più semplicemente, fantasticare di essere minuscolo di fronte a una donna gigantesca.
Oh, che gran cosa internet! Fino all’arrivo della rete nella mia vita, avevo sempre pensato di essere l’unico a covare queste idee, mi sentivo diverso, a volte anche malato. Finché un bel giorno non cominciai a scrivere il termine “Gigantessa” sulla barra di Google, e boom! Migliaia di voci, pagine, immagini, siti e forum dove tantissimi altri condividevano la mia stessa passione.
Capii subito che questo feticismo era così complesso e ramificato da coinvolgere generi che mai avrei immaginato, e cosa più importante, per la prima volta non mi sentii più solo, diverso.
La prima cosa che notai fu l’evidente sproporzione fra uomini e donne, tipo una donna ogni quaranta o cinquanta utenti maschi. Per di più, imparai anche a diffidare delle donne, perché compresi a mie spese che, fin troppo spesso, dietro un profilo femminile si celava un uomo, e sinceramente, ancora oggi non riesco a capire cosa spinga certi individui ad agire in questo modo: è un po’ come se un uomo guardasse altri maschi eccitarsi.
Quest’esperienza mi lasciò addosso una sensazione così forte di viscidume, che ben presto cominciai a isolarmi dal resto degli uomini. In fondo, non m’interessava sapere cosa eccitasse loro, anzi, direi il contrario.
Ero piuttosto attratto dalle gigantesse, ovviamente direi, ma non solo per il loro ruolo. Mi piaceva comprendere più a fondo il loro modo di ragionare, le loro fantasie, la loro storia, quello che avevano provato prima di conoscere internet.
Spesso trovavo molte similitudini sulle esperienze del passato, ma allo stesso tempo, trovavo inconciliabili differenze sull’aspetto caratteriale. Penso sia a causa del mio temperamento, la mia indole sempre un po’ ribelle, che mi aveva causato più di un problema. Non riuscivo a essere un fedele “servitore” o “pet” come molti altri, mi dava proprio fastidio la sola idea di chiamare qualcun altro “dea”, ho sempre avuto problemi nei rapporti con figure autoritarie, professori, genitori, e anche forze dell’ordine.
Così mi allontanai un po’ dai vari forum, limitandomi a postare ogni tanto qualche racconto, ma alienandomi dalla “vita sociale” di questo microcosmo. La mia attività si era ormai ridotta alla raccolta di vario materiale a tema, dai fumetti (più di quanto mi aspettassi), ai disegni e ai lavori in grafica, molti dei quali di pregevole fattura.
Anche quel giorno, dopo un’oretta al pc, mi buttai sul letto e mi addormentai. Non era facile lavorare di notte, e se poi ti alzavi presto la mattina, diventava davvero pesante. Un’altra serata a servire cocktail a gente di una stupidità imbarazzante mi aspettava, meglio dormirci sopra.
I mesi che mancavano alla partenza, passarono velocemente, anche se non si direbbe, fra lavoro, serate fra amici all’insegna dell’alcol, sesso insignificante con donne facili, senza rischio di complicazioni affettive, non erano quelle di cui avevo bisogno.
Finalmente il locale chiuse, come sempre per tutto il mese di Agosto, e dopo una settimana di baldoria e bagordi, arrivò il tanto sospirato giorno della partenza, Ibiza ci aspettava.
Capitolo due
Atterrammo intorno a mezzogiorno all’aeroporto di Ibiza, insieme a centinaia di altre persone intente a trosportare bagagli troppo abbondanti. Come da accordi, una Peugeot 207 ci aspettava all’uscita. Il cortese addetto alla consegna spagnolo ci aspettava, e ci spiegò come meglio poteva, variando dallo spagnolo all’inglese, le funzioni fondamentali dell’autovettura.
Lo congedammo con un saluto amichevole, e dopo aver settato le coordinate, partimmo per la nostra destinazione, a finestrini aperti,sotto il caldo sole di Ibiza.
La casa era molto spartana, un arredamento essenziale, ma per quelle che erano le nostre esigenze, bastava avere un letto su cui dormire, e un frigo in cui tenere le bibite in freddo. Tutto il resto era superfluo.
Dopo aver comprato qualcosa per riempire il frigorifero (in pratica due bottiglie d’acqua e due casse di birra), ci riposammo un po’, con l’immancabile aria condizionata accesa, poiché fuori si sfioravano i trentotto gradi.
Ci svegliammo circa tre ore dopo, dovevamo ancora riprenderci del tutto dai postumi della sera precedente, e seguendo il detto “chiodo scaccia chiodo”, ci scolammo un paio di birre a testa, mentre fuori il sole cominciava a scendere.
Dovevamo sbrigarci, non volevamo perdere la spettacolare esperienza del tramonto al Cafe del Mar.
Come al solito, i posti a sedere nel locale erano tutti occupati, e dopo aver preso un drink, scendemmo a sederci sugli scogli, circondati da centinaia di persone, per lo più giovani, di tutto il mondo.
Mi piaceva quel mix unico di pelli, visi e lingue. Sentire parlare in francese, in inglese, in spagnolo, russo, e in lingue che non riuscivo a distinguere. Ragazze dai lineamenti delicati e dalla pelle candida tipica del nord Europa, che anche dopo settimane al sole riescono a diventare al massimo rosee. Sicuramente in netto contrasto con noi latini, gli italiani, gli spagnoli, i greci, i portoghesi, con le nostre abbronzature che descrivevano tutta la gamma del color bronzo.
A un tratto notai uno scoglio inspiegabilmente sgombero, anche se in ottima posizione. Su di esso, svettava una splendida donna sulla trentina, che a braccia incrociate sotto il florido seno, ammirava il tramonto, come tutti noi, lasciando che la brezza marina facesse svolazzare la gonna lunga dell’abito di lino color crema. La sua pelle era color caramello, e i sandali alla schiava salivano a cingere i suoi polpacci torniti. Il suo volto era sereno, disteso, un naso evidentemente africano, ma non troppo grande, e gli occhi erano socchiusi per schermare la luce del sole morente. Il tutto circondato da una riccia chioma di capelli neri, che in parte appuntati sulla testa, scendevano rigogliosi in morbide ciocche perfettamente definite.
Il tutto le concedeva un’area regale, e nella mia fervida immaginazione, la vedevo una fiera principessa di una qualche popolazione africana, magari egiziana.
Non mi accorsi di quanto a lungo e insistentemente la stessi fissando, fino a quando lei non si girò, guardandomi dritto negli occhi, proprio me, fra altre centinaia di persone.
Io non riuscii a distogliere lo sguardo, mi era praticamente impossibile. L’unica cosa che riuscii a fare fu un sorrisino ebete, che mi fece vergognare profondamente. Non era da me restare così imbambolato di fronte a una donna.
Lei mi guardò per un attimo che sembrò interminabile, poi il suo cipiglio inespressivo si dissolse in un sorriso caldo, sincero. Sentii qualcosa dentro di me, non saprei dire se morsa, fitta, dolore, ma fu qualcosa che non avevo mai provato prima.
Mi ritrovai ad alzare la mano in un cenno di saluto, senza neanche accorgermene. Mi sentii un bambino. Lei invece parve apprezzare, e ricambiò il gesto da lontano, regalandomi un altro di quei sorrisi che ancora oggi bramo disperatamente.
Poi, con mio sommo dispiacere, si voltò e scese aggraziatamente dallo scoglio, tenendo sollevato il bordo della gonna per non inciampare, e si voltò a guardarmi un’ultima volta, prima di sorridere e salutarmi da lontano con un cenno della mano, prima di darmi le spalle, e cominciare a camminare con un incedere che mi parve davvero pregno di regalità.
Non mi ero nemmeno accorto che il sole era tramontato, né tantomeno che il cocktail nel mio bicchiere si era oramai annacquato. La vidi scomparire fra la folla che si allontanava dopo il tramonto, e finalmente tornai in me.
Maledicendomi silenziosamente per la mia figura da bambino, buttai il cocktail imbevibile e dissi agli altri che ne andavo a prendere un altro. Mi consolai pensando che eravamo su una piccola isola dopo tutto, e che avevo molte possibilità di rivederla.
Capitolo Tre
Passarono quattro giorni, ma a lei pensavo ancora. Avevo avuto la mia abbondante porzione di sesso insignificante, di serate brave, e il fatto di avere un appartamento proprio aiutava moltissimo. Ogni sera davamo un party di fine serata, e ogni mattina mandavo via ragazzotte inglesi, australiane, statunitensi. Ormai sapevamo come muoverci, dove andare, ed era fin troppo facile tornare a casa con le ragazze.
Capitava che venisse con noi anche qualche maschio, amico delle ragazze, ma per lo più si addormentava del tipico sonno pesante da sbornia. Fuori gioco fino all’indomani.
Il quinto giorno ero proprio stanco, non mi andava di fare baldoria fino alle quattro del mattino. Decisi di lasciare l’auto ai miei amici, e dopo l’ottima cena a base di pesce sul lungomare di San Antonio, dissi che sarei rimasto lì, avevo il numero del taxi sul cellulare, sarei tornato a casa presto.
Tentarono invano di convincermi, poi alla fine se ne andarono, con altre due ragazze della sera precedente, che avevamo incontrato di nuovo lì al ristorante.
Restai un quarto d’ora a bere vino bianco ben freddo, poi il cameriere mi fece capire che il tavolo serviva per altre persone, e non feci obiezioni. Mi alzai, e nella mia comoda camicia di lino colo kaki mi incamminai sul lungomare, due passi, dopo una cena del genere, sono d’obbligo.
C’erano come sempre gli scultori di sabbia, riuscivano a creare dei veri e propri capolavori, e non lesinai nel dar loro qualche moneta. Apprezzo sempre chi sa fare bene il proprio mestiere, specialmente se è un lavoro manuale.
Oltre gli scultori, c’erano molti artisti di strada, capaci di dipingere notevoli quadri, anche di piccole dimensioni, con le bombolette di vernice spray, e chiunque ne abbia maneggiato una sa quanto è difficile un lavoro del genere. Diedi anche a loro delle monete, senza però comprare nulla, visto che avevo almeno otto di quei quadri in casa.
Camminando tranquillamente, arrivai nella zona del porto, e lì decisi di sedermi ad un bar non molto affollato. Una giovane ragazza spagnola, molto carina, prese la mia ordinazione, e tornò pochi minuti dopo con una coppa di vino bianco frizzante, ben freddo.
Non mi pesava essere lì da solo, chiunque mi conosca sa benissimo che non disdegno affatto la solitudine. Penso sia un meccanismo di compensazione rispetto alla mia vita lavorativa, che mi porta a stare in posti sovraffollati per molto tempo, più di quanto sia necessario sicuramente. Così mi godevo un po’ di pace, sorseggiando il mio vino, quasi ipnotizzato dalle barche all’ancora, che parevano essere cullate dal mare, un dolce dondolio che mi dava un senso di serenità. Socchiusi gli occhi, ero proprio dove volevo essere.
“Ciao..”, sobbalzai rischiando di cadere dalla sedia. Non riuscivo a crederci, lei, la splendida donna del tramonto, era lì di fronte a me, sorridente, e mi aveva appena salutato.
Istintivamente mi girai, convinto che stesse salutando qualcuno alle mie spalle, ma dietro di c’era una coppia intenta a parlare fitto fra loro in francese.
“Non sai parlare?” disse ancora sorridendo.
“Scusami, non avevo capito che stessi dicendo a me..” dissi balzando in piedi, come un alunno di fronte alla maestra. Era alta poco meno di me, ed io sono alto un metro e ottanta.
“Non mi inviti a sedermi?” disse lei continuando a sorridere. Aveva capito il mio imbarazzo, e la cosa sembrava divertirla.
“Scusami, sono imperdonabile.. Accomodati!” le dissi indicando la sedia con un gesto volutamente plateale. Cercavo di riprendere la situazione, non potevo fare di nuovo la figura del bamboccio.
Lei si accomodò di fianco a me, fasciata in un abito bianco che scendeva fin poco sopra il ginocchio, una sottile catenella d’oro alla caviglia sinistra, sul polso destro indossava un bracciale a fascia su cui spiccavano dei delicati bassorilievi di divinità egizie, riconobbi solo Bastet dalla testa di gatto, mentre al petto era adornata di uno splendido pendaglio d’oro raffigurante il dio egiziano Ra, raffigurato nella sua classica rappresentazione con la testa di falco. Sono molto appassionato di folklore oltre che essere un barman sciupa femmine.
“Cosa bevi?” le chiesi mentre con la mano richiamavo l’attenzione della graziosa ragazza di prima.
“Lo stesso che bevi tu..” disse, ravvivandosi dietro l’orecchio una ciocca ribelle.
Improvvisamente fui trafitto da una domanda: come faceva a sapere che sono italiano? E a parlare così bene la mia lingua?
“Scusa –le chiesi-, ma come fai a sapere che sono italiano?”.
“Ti ho sentito parlare l’altro giorno, al Cafe del Mar..” rispose con naturalezza, prima di continuare: “E se ti chiedi perché parlo bene la tua lingua, è perché ho vissuto parecchi anni in Italia..” .
“Beh, sei giovanissima –la adulai-, ci sarai stata da bambina immagino..”
Lei sorrise maliziosa, aveva capito subito il mio intento adulatorio: “Ti ringrazio, ma non sono proprio giovane, e per rispondere alla tua domanda: si, diciamo che ero una bambina quando ho vissuto in Italia.”
La ragazza arrivò con il vino per lei, e non potei fare a meno di notare il seno sodo sotto la camicetta, quando la sentii parlare con una nota di disappunto: “Lasciala perdere, è una sgualdrina.. Va a letto con turisti rinquattrinati, e dopo li deruba..”
Restai di stucco, sgranando gli occhi: “Come fai a saperlo?”.
Lei sorrise, deliziata dalla mia reazione: “Oh, ti stupiresti delle cose che conosco..”.
Era bellissima, ora potevo vedere anche i suoi occhi, che alla luce dei lumini sul tavolo si riempivano di screziature verde, su un fondo color nocciola. Era davvero incantevole.
“Devo dire che sei un po’ scarso come Don Giovanni.. Non ti sei nemmeno presentato.” disse provocatoria.
L’ennesima figuraccia, ormai era diventata una collezione di gaffe. Rosso in viso, allungai la mano: “Hai ragione.. Sono una frana stasera.. Il mio nome è Mattia. Piacere di conoscerti.”
Lei prese la mia mano, e guardandomi negli occhi disse: “Io sono Amirah, e credimi, il piacere è tutto mio.”
Ritrasse la mano e assunse un’area enigmatica, continuando a fissarmi, mentre io non riuscivo a non guardare i suoi occhi, così profondi.
Restammo lì a parlare per almeno un’ora, discutendo del più e del meno. Appresi che lei era di famiglia facoltosa, quindi non lavorava, si godeva semplicemente la vita. Parlammo dei viaggi fatti, di Ibiza, dell’Italia, e dalle sue parole compresi che amava molto il mio paese, lo conosceva addirittura meglio di me, essendo stata in luoghi che io non avevo mai visitato.
Poi venne il momento di andare, avevo capito che quella notte non sarei rimasto solo. Così fui io a propormi per primo: “Ti va di venire da me? Ho una casa affittata non molto lontano da Ibiza.”
Lei mi guardò con quello sguardo profondo, in cui notai una scintilla, un piccolo bagliore, e poi disse: “No, preferisco andare da me, saremo di sicuro più tranquilli…”.
Si alzò, mise a posto la gonna, e tendendomi la mano mi disse: “Andiamo?”.
Istintivamente afferrai la sua mano, cercando di non apparire troppo affrettato, e risposi:
“Certamente mia cara.. ”, il vino mi aveva reso decisamente più tranquillo, e quindi anche più intraprendente.
Ricordandomi di non avere la macchina, presi il cellulare e le dissi: “Chiamo un taxi..”, ma lei pose una mano sul cellulare, dicendo: “Non ce n’è bisogno..”, e con molta flemma, alzò l’aggraziata mano destra, quello che indossava il bracciale di Bastet, e a quel cenno vidi i fari di una macchina che si accesero, e dal rumore che produsse il motore quando si accese, capii che non era un’utilitaria.
Era una splendida Bentley Mulsanne grigio fumo. Al suo passare i turisti si voltavano a indicarla, e la notte si illuminava dei flash delle macchine fotografiche, e mentre i passanti ammiravano l’auto accostarsi al marciapiede, vidi il conducente scendere dall’auto, un nubiano di almeno un metro e novantacinque, in un vestito su misura dello stesso colore dell’auto. Con movimenti rapidi e aggraziati, aprì lo sportello posteriore, pronto ad accoglierci mentre ci avvicinavamo.
Era perfettamente sull’attenti, con lo sguardo su Amirah, pronto a eseguire qualunque ordine. Non dubitai del fatto che mi avrebbe distrutto in un secondo se solo Amirah glielo avesse chiesto, ma lei si limitò a dire, e in modo molto gentile fra l’altro:
“Portami a casa Chaka, stasera abbiamo un ospite.”
“Molto bene madame – rispose con voce ferma l’enorme uomo in livrea grigia-, avviserò mentre siamo per strada.”
“Ti ringrazio Chaka..” si limitò a dire Amirah sorridendogli. Trovai che fosse una bella cosa il modo in cui lo trattava.
Guardai l’autista, e sorridendo gli dissi : “Buonasera Chaka..”.
L’uomo mi sorprese, rivolgendomi il più gioviale dei sorrisi, illuminandogli il volto:
“Buonasera signore.. Prego, si accomodi.”, mi indicò cordialmente lo sportello che teneva aperto, e che chiuse delicatamente quando fui salito.
Ripartimmo, e a giudicare dall’auto, la casa non sarebbe stata di certo da meno. Amirah intanto mi toccò il braccio con la mano, e disse: “Avverti i tuoi amici che per tre giorni sei mio ospite.”
Sul momento mi vennero mille rimostranze, pensai a quello che avrebbero pensato Marco e Fabrizio, ci sarebbero rimasti male, dopotutto eravamo partiti per stare insieme, ma quando cercai di esprimere a voce le mie obiezioni, colsi di nuovo quell’accenno di bagliore nei suoi occhi, e senza nemmeno accorgermene, stavo già scrivendo il messaggio, che inviai, e poi spensi anche il cellulare.
Mi parve tutto così naturale, non sapevo ancora quanto Amirah potesse essere persuasiva, ma l’avrei scoperto presto.
Capitolo Quattro
Capii subito che ci stavamo dirigendo verso l’entroterra, viste le premesse, non mi sarei aspettato nulla di meno. I veri ricchi stavano all’interno, non si mischiavano ai comuni mortali come noi.
Osservavo il paesaggio attorno a noi cambiare, e le fitte case bianche dei centri abitati, cominciarono a lasciare spazio a campagna aperta, alberi di ulivo, di agrumi, e gli immancabili fichi d’india, che anche qui crescevano negli anfratti più impervi.
“Mi hai colpito subito.. ”, disse improvvisamente, destandomi dall’ammirazione del paesaggio.
Ringalluzzito e galvanizzato dal complimento mi lanciai anch’io: “Anche tu sei bellissima.. Sei forse la donna più bella che io abbia mai visto in vita mia..”.
Lei mi poggiò la mano sulla mia, mi sorrise teneramente e poi parlò: “Ti ringrazio molto, ma non è della bellezza che parlavo.. ”
“Ah, mille grazie allora..” cercai di fare il finto offeso, per spezzare l’antipatica empasse che si stava creando.
“Non fraintendermi –disse sorridendo-, ti trovo molto carino, ma non è la bellezza che mi ha colpito, è qualcosa che hai nel profondo, una cosa che può unirci in un modo così intimo e speciale che mai avrei sperato fosse possibile.”
“Così mi spaventi..”e non dico che avevo paura, ma c’era qualcosa che suonava inquietante in quelle parole.
“Non temere, stiamo per arrivare, presto tutto sarà più chiaro.. ”, e poi mi strinse dolcemente la mano.
“Beh, spero sia una bella sorpresa allora..”, io immaginavo già scene di sesso bollente.
“Non è quel che credi, sappi solo una cosa: non hai nemmeno idea di quanto tempo io abbia aspettato uno come te..”.
Non risposi, non riuscivo a decifrare il significato di quelle parole, ma mi sentivo stranamente calmo, anche se ero in una macchina di lusso con una sconosciuta di cui sapevo solo il nome, guidata da un autista così grosso che avrebbe potuto uccidermi senza nemmeno sudare, e tuttavia ero sereno. Davvero strano.
Capitolo Cinque
Riconobbi la zona di Santa Gertrusis, la più interna dell’isola. Era il posto ideale per restare al riparo dalla folla che gremiva i litorali. Qui sui colli si godeva di una vista mozzafiato, e si riconosceva ancora l’isola come era stata prima della “colonizzazione” turistica.
La Bentley Mulsanne cominciò a rallentare dolcemente. Mi accorsi di una lunga schiera di Ginepri rossi che delimitavano un’area davvero vasta, e mi bastò guardare verso l’alto per scorgere una grandissima villa, sapientemente illuminata nella notte stellata.
I ginepri erano intervallati da bassi fari che illuminavano il bordo della strada, delineando un sentiero luminoso che conduceva a quella che sembrava in apparenza, una normale casetta in legno, ma mi accorsi essere una sorta di guardiola.
Da una grossa vetrata lucidissima, vidi un uomo che sembrava la fotocopia di Chaka, almeno per dimensioni, non riuscii a vedere bene il volto. Il guardiano, solerte, attivò il meccanismo della barra, lasciando che la Bentley su cui viaggiavamo si immettesse nell’ampio viale, delimitato ai lati da graziosi alberi di ulivo, e illuminati con la stessa cura del precedente. Un sentiero luminoso che si inerpicava su per la collina, ma non riuscii a vedere oltre la coltre delle fronde degli ulivi.
Dopo circa un chilometro, arrivammo nell’ampio piano di selciato che si trovava di fronte la villa. L’auto si fermò delicatamente, e subito dopo Chaka scese ad aprire lo sportello, accogliendoci con un sorriso franco e benevolo.
La vista era da mozzare il fiato. Una costruzione grandissima su due piani, tutta in arenaria gialla, si stagliava su una vasca larga quanto l’edificio stesso. L’immensa vasca si interrompeva solo in prossimità della rampa di scale che conduceva all’ingresso.
In quelle acque calme, galleggiavano grosse ninfee, e dei piccoli fari circolari ne evidenziavano il perimetro internamente, lasciandomi intravedere il movimento di alcuni pesci al di sotto delle piante acquatiche.
La scala in marmo bianco di Carrara saliva fino ad un patio sorretto da colonne quadrate in arenaria, su un pavimento dello stesso materiale delle scale, impreziosito da diversi mosaici, su cui erano rappresentate varie divinità egizie. L’occhio di Ra accoglieva all’inizio della larga scalinata, illuminato da un faretto sulla facciata della casa.
Il patio era delimitato da una piccola balconata, formata da piccoli sostegni sferici in marmo di Carrara, mentre la ringhiera era della stessa arenaria gialla del resto dell’edificio.
Trovai meraviglioso tutto l’insieme, una magnificenza che non cozzava con l’ambiente tipico mediterraneo circostante. Altre ville che avevo visto in passato, erano dei progetti notevoli dal punto di vista architettonico, ma il contrasto con il paesaggio circostante era troppo marcato, stridente.
“Quando hai finito di guardarti attorno potremmo anche entrare in casa..” annunciò con finto disappunto Amirah, che ora più che mai, in questa splendida villa, mi appariva come una principessa egiziana, la medesima impressione del nostro primo incontro.
“Si, perdonami. E’ una costruzione splendida, mi sono perso ad ammirarla. Davvero complimenti per le scelte.”.
“Ti ringrazio, è una delle mie abitazioni preferite, mi ricorda tanto la mia infanzia.” Asserì gentilmente, senza dare troppo risalto al fatto di avere altre abitazioni oltre questa.
“Bene, direi che possiamo entrare adesso.” Annunciò con un sorriso, mentre il grande portone in legno si apriva dall’interno, e delle graziose cameriere dalla pelle mulatta attendevano docilmente, nelle loro ampie tuniche di lino marrone, strette alla vita da delle cinture di un materiale che mi parve oro, e i capelli raccolti in un’elegante treccia che scendeva ordinatamente dietro la nuca.
“Dopo di te mia cara..” dissi facendo un plateale inchino. Lei sorrise genuinamente di questa piccola gag, e mi precedette, entrando in casa, ed io la seguii.
All’interno, un grandissimo lampadario di cristallo sovrastava il vasto ingresso, riflettendo il proprio bagliore su un lucidissimo pavimento in marmo nero del Belgio. Nell’ampio salone trovavano posto una moltitudine di divani e poltrone dal design minimalista, in pelle bianca, oltre a tavolini in vetro lucidissimo. In alcuni tratti dei grandi tappeti persiani creavano un gradevole contrasto, spezzando l’alternanza di bianco e nero che era comunque il liet motiv dell’arredamento.
“E’ tutto pronto in camera madame.” Annunciò in tono docile la governante.
“Benissimo, grazie Danuwa. Dai ordine che non mi si disturbi per nessun motivo. Chiamerò io quando avrò bisogno. E’ tutto.” Rispose Amirah in tono fermo ma non maleducato.
“Come desiderate madame..” disse Danuwa chinando il capo, e ritirandosi rispettosamente.
Amirah si rivolse a me, e porgendomi la mano disse: “Vogliamo andare?”.
“Pensavo non me l’avresti mai chiesto..” cercai di fare lo spiritoso, e in effetti la battuta la fece ridere di gusto, e mi beai del suono argentino della sua risata.
Tenendo la sua mano ci avviammo su per le scale in marmo nero, sembravamo proprio una coppia regale in quel momento.
“Preparati mio Don Giovanni italiano, l’esperienza che vivrai stanotte cambierà la tua vita per sempre.” Mi annunciò guardandomi negli occhi con uno sguardo malizioso.
“Non vedo l’ora..” le risposi, convinto che lei mettesse un po’ troppo pathos nell’attesa, dopo tutto di notti bollenti ne avevo avute abbastanza.
“Vedrai, tutto quello che hai sperimentato fino ad ora è niente rispetto a quello che ti darò. Ci uniremo in un modo che hai solo sognato, io realizzerò il tuo più grande desiderio.” E stavolta aggiunse un sorriso che sapeva troppo di misterioso.
Mai avrei immaginato cosa mi stesse aspettando. Da lì a poco i desideri del mio “lato oscuro” sarebbero divenuti realtà, non immaginavo nemmeno fino che punto.