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[ replica ] Goldberg ha inviato un messaggio dal titolo: preziosissimo consiglio.. ed ha ricevuto 1 repliche.
messaggio inviato in data: 01/Settembre/2012 00:30:58

è una piccola incongruenza, perchè mentre scrivo penso già al seguito. Grazie per il commento e l'incoraggiamento.. ;)

[ replica ] Goldberg ha inviato un messaggio dal titolo: Capitolo 7: La storia di Amirah (prima parte) ed ha ricevuto 1 repliche.
messaggio inviato in data: 01/Settembre/2012 12:51:05

Capitolo Sette
La storia di Amirah

Amirah si accomodò comodamente nella poltrona in vimini sul balcone, mi guardò per un lungo istante, mi rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi, e poi volse il suo sguardo al cielo stellato sopra di noi. Immaginai che lo facesse per non avere distrazioni mentre si accingeva a raccontare la sua storia.
Io trovai una posizione comodissima, le gambe accavallate, e nella tiepida brezza notturna, mi rilassai completamente, svuotando la mia mente da ogni pensiero. Ero pronto.
Lei, allora, con un tono di voce basso, caldo, cominciò il suo lungo e impressionante racconto.
“La mia storia comincia tantissimo tempo fa, in Egitto. Per la precisione, parliamo dell’Alto Egitto, perché in quel periodo esisteva ancora la suddivisione fra Alto e Basso Egitto, con quest’ultimo che terminava sulla foce del Nilo, in mare. Quello alto, invece, era difficile da delimitare, in quanto all’epoca i confini erano qualcosa di poco conto.
Per quel che riguarda l’anno, posso dire che secondo i canoni attuali, la mia nascita si colloca intorno al 4100 a.c. , prima del periodo che gli studiosi moderni avrebbero soprannominato Naqada I, la prima epoca del periodo predinastico.
E’ buffo il fatto che io abbia conosciuto molte di queste cose dalla gente moderna. In quel tempo non si prestava molta attenzione a certe cose, si viveva la propria vita semplice, fatta di lavoro e sacrificio, ma anche di molto momenti conviviali. Ci si divertiva con poco, anche il semplice stare insieme era una festa.
Scusami, divago un po’ troppo.” Disse stringendosi nelle spalle.
“Oh no, ti prego. Parlami di ogni cosa tu voglia, non ho nessuna fretta.”
Dopo un altro dolcissimo sorriso, riprese il suo racconto.
“Bene, allora vado avanti. Io sono, o meglio, ero la settima e ultima figlia di una famiglia di agricoltori. Avevo altri cinque fratelli e una sorella.
Noi, come molti altri, eravamo una famiglia che basava la propria esistenza e sopravvivenza sul grano. La semina, la cura, il raccolto, la lavorazione primaria occupavano per intero la nostra esistenza.
Le stagioni, che per noi, contrariamente agli occidentali, erano tre di quattro mesi: inverno, estate e inondazione.
Il Nilo, con le sue inondazioni, era il fulcro fondamentale per tutti gli agricoltori, e di conseguenza per il popolo intero.
Abitando in una regione così desertica e inospitale, tutto ruotava intorno alle inondazioni, che rendevano fertile la terra, permettendoci di lavorarla.
Oltre i miei genitori e i miei fratelli, facevano parte della mia famiglia anche mia nonna,Maryam, e due sorelle di mia madre,Nazeera e Rasheeda. che non si erano sposate, e vivevano con noi, fornendo utili forze in più per mandare avanti la famiglia.
Penserai che sia strano, per quel periodo, che una donna rimanesse single. Invece ti stupiresti di quanto fosse emancipata la donna in quell’epoca. Da allora, attraverso tutte le epoche che ho vissuto, mai la donna si è avvicinata, nemmeno lontanamente, alla condizione di rispetto e di indipendenza che aveva nell’Antico Egitto.
Scusami, l’ennesima divagazione. Vado avanti.
Mia nonna era quella che oggi, con i canoni attuali, chiamereste strega, maga o santona. In realtà, in quel periodo, questo tipo di figura sostituiva in tutto e per tutto l’attuale medico.
C’era un pellegrinaggio ininterrotto di gente che veniva a farsi curare da lei, da una banale slogatura fino a malattie misteriose, che oggi chiameremmo tumori.
Oltre l’aspetto medico, si occupava anche di quello che potremmo definire magico. Guidava i riti di fertilità, intercedeva presso gli dei per avere la pioggia, un raccolto rigoglioso, e officiava anche riti come sposalizi e battesimi.
Nacqui nella città che noi chiamavamo Abu Suene, quella che poi i greci avrebbero denominato Elefantina, e attualmente è conosciuta come Assuan.
Parlo della zona più meridionale dell’Alto Egitto, all’altezza della prima cataratta del Nilo, ovvero uno dei punti in cui il livello dell’acqua è troppo basso per consentire la navigazione fluviale.
Abu Suene aveva la propria divinità protettrice, un po’ come i santi patroni cattolici. La nostra era Khnum, la divinità con la testa d’ariete, protettore delle sorgenti del Nilo, e detentore del controllo sulle preziosissime inondazioni del fiume.
Tutti noi, guidati da mia nonna Maryam, ogni mattina, prima di metterci a lavoro, innalzavamo una preghiera propiziatrice verso Khnum.
Eravamo una comunità abbastanza numerosa per l’epoca. Circa mille persone popolavano Abu Suene all’epoca, anche se parliamo di una delle zone più siccide dell’intero Egitto.
Devo ammettere che mia nonna Maryam aveva un debole per me. Ero una bambina ribelle, che mal sopportava l’autorità, ma ero anche molto generosa. Una volta, ad esempio, ero andata ai campi, a portare il pranzo ai miei fratelli e ai miei genitori. Durante il tragitto, incontrai un’anziana donna, che era rimasta da tempo vedova, non aveva avuto figli, e non era più in grado di lavorare, e mantenere se stessa. Mi mossi così a compassione per lei, che camminava trascinandosi sotto il sole cocente, che le diedi tutto il pranzo destinato ai miei familiari.
Quando arrivai al campo, i miei s’infuriarono molto inizialmente, vedendomi giungere senza il pranzo, ma quando raccontai loro cosa era successo, furono tutti molto felici del mio comportamento. In fondo, la mia famiglia era conosciuta per la sua bontà.
Ma torniamo alla storia. Fino a quando non ebbi l’età giusta per andare a lavorare nei campi, passavo tutte le mie giornate con la mia amata nonna. Lei mi insegnava tutto quello che dovrebbe sapere una donna indipendente. La cucina, la tessitura, l’intreccio dei cestini di vimini, come tenere ordinato il focolare domestico. Non lo faceva per farmi diventare una brava moglie, ma piuttosto una donna forte, indipendente, che anche se avesse scelto di restare sola, sarebbe stata in grado di provvedere a se stessa.
Oltre queste cose squisitamente pratiche, m’insegnava anche molto altro. M’insegnò a riconoscere le stelle, ad orientarmi grazie ad esse. M’introdusse alla divinazione del culto di Khnum, alla decifrazione dei segni che il dio ci inviava. Imparai a riconoscere le piante adatte per la medicina, quelle per i riti magici, e anche quelle per la cura della bellezza. Noi donne egizie eravamo molto vanitose.” .
Lo disse con un sorriso triste, prima di sciogliersi in un pianto sommesso. Alzò la mano a pararsi gli occhi, come se non capissi che stesse piangendo. Io capii subito che era il ricordo di sua nonna a suscitare questa reazione.
“Sono sicuro che tua nonna sarebbe fiera di te.”.
Lei, di scatto, si voltò a guardarmi, con un’espressione a metà fra la collera e il rimorso.
“Tu non sai cosa le ho fatto. Non puoi dire questo. Taci! Per favore.”.
Rimasi sbigottito, non l’avevo ancora vista alterata, e non mi piaceva essere il motivo di questo suo stato d’animo. Poi, suppongo leggendo nei miei pensieri, si asciugò gli occhi, e riprese a parlare, con un tono di voce di nuovo gentile.
“Perdonami, sono stata scortese. So che non avevi intenzioni cattive, e in ogni caso non è colpa tua, in nessun modo. E’ tutta colpa mia. E’ questo che mi fa arrabbiare più di tutto.”
La guardai, così fragile in questo momento, e mi suscitò una tenerezza infinita. Le andai vicino e la abbracciai. Lei ricambiò la mia stretta, poi, con gentilezza, si staccò, riacquistando un’aria composta.
M’invitò a sedermi, ed io ripresi posto nella comoda poltrona di vimini, e fu allora che lei riprese.
“Ora va meglio. Scusami ancora per prima.”.
Le sorrisi: “Non è successo nulla, vai avanti.”
Lei tornò a rivolgere il suo splendido viso verso il cielo stellato, e riprese il suo racconto.
“La mia amata nonna era solita dirmi che, in me, lei vedeva un potere straordinario. Sarei stata io a prendere il suo posto, ero l’unica in grado di farlo. Lei m’insegnò una cosa molto importante, ma che quando fu il momento, non riuscimmo a prevenire, nessuna delle due. Non in tempo almeno. Lei mi parlò dei Jinn.
Per voi europei, e occidentali in genere, la figura dei Jinn combacia con quella dei geni della lampada delle favole. Niente di più sbagliato, o di fuorviante.
I Jinn sono creature eterne, vivevano prima dell’uomo, e sopravvivranno ad esso. Essi sono spiriti, creature incorporee, che vagano sulla nostra terra. C’è da dire che, in forma incorporea, non sono molto differenti dai vostri poltergeist, o da comuni fantasmi. Al massimo, possono spostare oggetti, spaventare le persone, riuscire a fare udire la loro voce, o i loro colpi, ma con un estremo sforzo che dopo li lascia sfiniti, per settimane addirittura.
Loro, i Jinn, non rispondono alla nostra stessa legge dell’equilibrio fra il bene e il male. Per loro, semplicemente, non esiste questo concetto. Sono mossi da desideri primordiali, da un’indole che noi definiremmo malvagia, ma loro non la vivono in questo modo. Ognuno di loro inoltre, ha un potere particolare, ma che spesso ignorano, perché si manifesta solo nel momento in cui controllano un essere umano. Hanno bisogno di una mano per usare la spada che non sanno di avere.
Per queste creature, torturare e uccidere è solo un passatempo. Non provano empatia, o compassione, ma nemmeno odio o risentimento, tranne se non quando riescono a impadronirsi di un corpo umano.
Questo, infatti, è il loro fine ultimo. Impadronirsi di un corpo che gli permetta di compiere le azioni efferate, usare i propri poteri,dare libero sfogo ai loro istinti primordiali.
L’unico problema è che devono verificarsi delle condizione particolari, perché ciò avvenga. Non possono andare e impossessarsi di un corpo così. O meglio, possono, ma non è così facile.
Le condizioni ideali per loro, sono intromettersi in un rito magico, in una seduta spiritica, ma devono trovare un canale aperto, un ospite in grado di sopportare la loro presenza al suo interno. Oppure, tentano goffamente di intrufolarsi nei corpi dei morenti, senza comprendere che quel corpo non è sufficientemente forte da resistere alla loro presenza.
Con i miei stessi occhi, ho visto più di una volta dei moribondi, dopo una battaglia, rialzarsi nonostante una ferita mortale, l’assenza di una gamba, e ciondolare in modo macabro, per pochi istanti. Ho riconosciuto nei loro volti l’espressione di stupore tipica del Jinn, quando realizza di avere un corpo a loro disposizione.
Purtroppo per loro, e fortunatamente per noi, i Jinn non sono in grado di riparare delle ferite mortali, o plasmare un arto mancante. Spesso, dopo aver fatto pochi passi, ed essersi resi conto del pessimo affare, li abbandonano, facendo esplodere in mille pezzi i corpi che li ospitavano. E’ uno spettacolo davvero orribile, anche per me.
Io, grazie a mia nonna, ho imparato ad avvertirne la presenza, e poi ,con il tempo, a distinguerla da quella simile degli spiriti dei defunti.
Purtroppo non fui in grado di riconoscerli al momento giusto.”.
Fece una pausa, cercando di rimettere in ordine le idee, e per dar tempo a me di assimilare la straordinaria portata di quei fatti, e l’enorme mole di informazioni. Poi, dopo essersi schiarita la voce, riprese.

“Passarono gli anni, ed io divenni un po’ più docile verso gli altri, pur mantenendo la mia spiccata indipendenza. Di giorno aiutavo nei campi, e al ritorno correvo dritto da mia nonna. Ormai lei non era più in grado di muoversi molto, e quindi ero io che svolgevo la maggior parte delle sue mansioni, dal cercare le piante al curare i malanni meno gravi. I cittadini, infatti, continuavano a rivolgersi a lei per i problemi più gravi, ed ero d’accordo, perché mia nonna era ancora il migliore medico di tutto l’Alto Egitto.
Tutto cambiò quando io avevo trent’anni. Il Nilo non straripava da più di due anni, e i raccolti erano stati pessimi. I nostri riti per ingraziarci il dio Khnum, erano stati infruttuosi.
La popolazione, fatta di gente semplice, era in preda alla disperazione più nera, e cominciò presto a trovare un capro espiatorio. Era mia nonna, e di conseguenza, tutta la mia famiglia.
In principio cominciarono a emarginare mio padre, che per tutta la sua vita era stato un onesto lavoratore, e un uomo retto e giusto, degno del rispetto della comunità. Fu pressoché lo stesso meccanismo che si sarebbe ripetuto nei secoli, con la persecuzione delle cosiddette “streghe”, cui attribuivano ogni problema.
Mio padre ne rimase molto ferito, anche se cercava di non darlo a vedere. Non veniva più invitato alle ricorrenze, o agli incontri dei contadini. Anche quando andava a bere un bicchiere di birra nella locanda, finiva con il bere da solo, e presto vi rinunciò,
Poi venne il turno di mia madre, che fu allontanata da tutte le altre donne. Cominciarono a non parlarle più, continuarono togliendole il saluto, e poi iniziarono i dispetti, le ripicche. Aspettavano che avesse i panni in acqua per svuotarci dentro dei flaconcini di tintura di henné, rovinandole il bucato, e questo è solo uno dei tanti.
L’opera continuò con i miei fratelli e mia sorella. I miei fratelli specialmente, erano derisi, e provocati, e a quell’età, si sa, il carattere dell’uomo è focoso.
I miei primi due fratelli, Afeef e Kamal, vennero ingiustamente accusati di furto, da uno dei più facoltosi uomini locali, il quale non aveva mai apprezzato il prestigio che aveva la nostra famiglia, nonostante fossimo essenzialmente dei contadini.
Ricordo ancora come fosse adesso, quando il mio terzo fratello, Riyadh, tornò a casa disperato, in lacrime e pieno di lividi. Raccontò dell’accusa rivolta ai due fratelli maggiori, e delle percosse che subirono tutti e tre. Disse che Afeef e Kamal, lo avevano spinto da parte, prendendosi una colpa non loro pur di liberare il fratello minore.
I cittadini si accanirono su di loro, e tramite la millenaria pratica della lapidazione, li uccisero barbaramente, senza lo straccio di un processo, o aver voluto ascoltare la loro versione.
Fu l’inizio della fine. Mio padre, Umair, lo aveva compreso. Mi prese da parte, e mi disse che quella stessa notte, io e mia nonna saremmo andate nel luogo del culto, un posto che si trovava a venti chilometri da Abu Suene, in una grotta a ridosso di un versante roccioso, fra le dune. Disse che il giorno dopo, le sorelle di mia madre ci avrebbero raggiunto, portando dietro le mogli e i figli dei miei fratelli, mia madre e mia sorella. Non fece accenno al fatto che sarebbe venuto anche lui, e i miei fratelli. Dentro di me, capii che era l’ultima volta che lo vedevo, e nonostante calde lacrime amare mi colmassero gli occhi, non potevo perdere altro tempo prezioso.
Al momento, l’importante era condurre lontano mia nonna. Avevamo compreso entrambi che era arrivato il momento. La gente aveva avuto un assaggio del sangue, della vendetta, e non si sarebbero fermati lì. Avrebbero tentato di prendere mia nonna, colei che doveva intercedere presso Khnum per avere le piogge, e le inondazioni. In un attimo si erano dimenticati di tutto il bene che mia nonna Maryam aveva fatto a tutti loro, ai figli che aveva aiutato a nascere, gli stessi figli che ora agitavano i loro pugni verso il celo, cercando un’insensata vendetta.
Io e mio padre restammo per un attimo in silenzio. Sapevamo entrambi che era l’ultima volta che ci vedevamo. D’istinto mi lanciai verso di lui, abbracciandolo e piangendo disperata, e lui ricambiò il mio gesto, mentre potevo avvertire i suoi singhiozzi sommessi, che tentava di celare anche in un momento simile. Un uomo tutto d’un pezzo, orgoglioso, temprato dal sole africano, dal duro lavoro.
Lui mi allontano da se, mi baciò sulla fronte, e mi disse: “Ora va. Che gli dei ti proteggano, figlia mia.”
Piangendo mi staccai da lui, non volevo deluderlo. Con gli occhi ancora pieni di lacrime, gli rivolsi un ultimo sguardo, poi mi diressi verso la casa di mia nonna.
La trovai già pronta. Lei lo sapeva, lo aveva previsto.
Non era una forma di privilegio pensare a lei, ignorare gli altri. Anche in quel momento pensavamo alla comunità. Ci rifugiavamo nella nostra religione, che adesso, col senno di poi, definirei più che altro superstizione. E lei, mia nonna, era l’unica che ritenevamo in grado d’ingraziarsi Khnum, e di ottenere la tanto agoniata pioggia.
Partimmo prima di mezzanotte, e sul migliore cammello che avessimo a disposizione, attraversammo il sentiero battuto dai cammellieri che si snodava nel gelido deserto notturno. Arrivammo presso la grotta del culto mentre il cielo notturno cominciava a colorarsi del roseo bagliore che annuncia l’alba.
Ci dirigemmo dentro, lasciando tutto ciò che non era utile al rito che ci apprestavamo a compiere.
Dopo aver predisposto tutto, mia nonna cominciò a celebrare il rito in onore di Khnum. Il fuoco consacrato ardeva forte e luminoso nell’oscurità della grotta, rischiarata solo da poche fiaccole tremolanti alle pareti. Non avevo mai visto mia nonna celebrare con tanta dolorosa enfasi il rito. Ogni invocazione era quasi urlata, aveva un’energia vibrante che potevo avvertire distintamente, al punto che cominciai a temere per la sua salute, ormai cagionevole. Lei mi esortò a unirmi alla sua invocazione, e io lo feci. Dovevamo dare tutta la forza che potevamo a questo rito.
Improvvisamente, successe quello che mai era accaduto prima d’allora. Il fuoco che ardeva di fronte a noi crebbe. Raggiunse quasi i tre metri d’altezza, sfiorando la volta della caverna. Divenne di un giallo intenso, poi rosso acceso, e infine, con mia grande sorpresa, si colorò di viola.
Anche mia nonna ne rimase colpita, ma continuò a celebrare il rito stoicamente, e io mi unii a lei.
Poi, all’interno delle fiamme, comparve una sagoma. Cademmo in ginocchio, entrambe.
La figura di un uomo cominciò a delinearsi sempre più nitidamente di fronte a noi, permettendoci di vedere le sue fattezze: aveva la testa di ariete, quella del dio Khnum.
Lui rimase lì, immobile e silenzioso, con le fiamme che lo lambivano senza bruciarlo minimamente.
Noi restammo in silenzio, io ero incredula e stupefatta per quell’incontro. Il dio Khnum in persona era sceso fra noi, per rispondere alle nostre preghiere.
Piansi di commozione, e allargai le braccia, in segno di benvenuto.
Poi fu un attimo. Udii mia nonna urlare, terrorizzata: “Non è il dio Khnum!”.
Era troppo tardi. L’immagine dalla testa di ariete si dissolse in una massa luminosa, e si diresse verso di me. In un baleno mi fu addosso, e io mi sentii invadere ogni cellula del mio corpo, senza avere la forza di oppormi.
Poi fu come se io assistessi ad un film, ma attraverso i miei occhi. Ero ancora nel mio corpo, ma non ne avevo più il controllo.
Guardai, o meglio, il mio corpo guardò mia nonna, che terrorizzata urlava contro di me. Mi gridava “Combattilo! Combattilo! Tu puoi farcela!”.
Io cercai di combattere, ma ero come prigioniera nel mio stesso corpo, come se cercassi di nuotare nella melassa.
Vidi la mia mano alzarsi, contro la mia volontà, verso mia nonna, lontana da me. La vidi rimpicciolirsi, per volontà del mio corpo, senza che potessi fare nulla per impedirlo.
Io, o meglio, il mio corpo, si diresse verso di lei, ormai minuscola, alta meno di dieci centimetri. La afferrò, e la portò istintivamente al viso. Vidi mia nonna, minuscola e indifesa, che tuttavia continuava a urlarmi: “Tu puoi combatterlo! Combattilo!”.
Ci provai, ma non ci riuscii. Dovetti assistere allo spettacolo più terribile della mia intera esistenza.
Sentii la mia bocca aprirsi, e la mia mano muoversi verso di essa, brandendo mia nonna come se fosse un frutto maturo. Cercai di resistere con tutta me stessa, scalciando e dimenandomi, con il solo risultato di rallentare il movimento della mia mano, che si fermò proprio in prossimità della mia bocca. Il corpo di mia nonna era già dentro la mia bocca, potevo avvertirla sulla mia lingua, le sue mani che si puntellavano sulle mie labbra, in un ultimo disperato tentativo di resistere.
Sapevo che non potevo durare ancora a lungo, e lo capì anche lei. Con tutta l’aria che aveva nei polmoni urlò: “Tu puoi sconfiggerlo. Io ti aiuterò. Ti amo mia piccola Amirah.”. Poi la sua presa instabile cedette, e anche la mia resistenza venne meno.
Nella disperazione più totale, mentre ero intrappolata in qualche parte del mio stesso corpo, sentii distintamente la sensazione del suo piccolo corpo nella mia bocca. Le labbra che si chiudevano, i denti che scendevano su di lei, il rumore delle sue ossa che si spezzavano, il calore e il gusto del suo sangue che inondava la mia bocca, e infine la sentii scendere per la mia gola, ormai ridotta a una poltiglia.
Piansi con tutta la disperazione di cui ero capace. Il dolore era lancinante, mia nonna, la mia splendida nonna, non c’era più, ed ero stata io a ucciderla.”.
Amirah non riuscì a proseguire oltre, il dolore era troppo forte, e i singhiozzi che la scuotevano erano incontrollabili. Ancora adesso, dopo seimila anni, soffriva ancora come se fosse quel giorno.
Capii che era troppo doloroso per lei andare avanti. Il cielo attorno a noi era ormai chiaro, mancava poco all’alba.
“Continuiamo dopo. Adesso riposiamoci un po’.”.
Lei mi guardò, e annuì, riconoscente, senza proferire parola. Ci alzammo, e ci dirigemmo verso il letto, mentre le stringevo un braccio attorno alle spalle.
Ci stendemmo, e lei poggiò il viso nell’incavo del mio collo, le sue guance ancora umide di lacrime.
“Grazie.” Mi disse senza alzare il viso.
“Grazie a te, per avermi ritenuto degno di raccontarmi la tua storia.”.
Lei si strinse ancora di più a me, e disse:
“La mia storia non è ancora finita.”.
“La continueremo dopo.” Dissi carezzandole i capelli. Non ottenni risposta. Solo il suo respiro, divenuto regolare, tranquillo. Si era addormentata.
Io restai ancora un po’ a guardare il sole colorare il cielo, la mia mente che silenziosamente cercava di mettere insieme tutte le informazioni acquisite, l’esperienza strabiliante di quella notte. Era davvero troppo anche per me, e fu allora che i miei occhi si chiusero, abbandonandomi al sonno ristoratore. Ne avevo proprio bisogno.
Godendo della sua vicinanza,del suo profumo, stringendola per essere certo che non fosse un sogno, che non mi sarei svegliato questa volta ritrovandomi da solo, con quell’amaro in bocca dei sogni infranti, finalmente, baciato dalla luce del primo sole, mi addormentai anch’io.
Dolce sensazione di appagamento.


Goldberg ha scritto: Nuova storia: Amirah, L'Eterna ed ha ricevuto 6 repliche.
inviato in data: 26/Agosto/2012 11:55:50
   Goldberg ha replicato con: Capitolo 6
   isi de ha replicato con: splendido!!!
   dolceluna ha replicato con: Spettacolo!!
   dolceluna ha replicato con: Peró...
     Goldberg ha replicato con: preziosissimo consiglio.. [***]
       Goldberg ha replicato con: Capitolo 7: La storia di Amirah (prima parte)
         dolceluna ha replicato con: Che meraviglia!!
           Goldberg ha replicato con: Grazie mille..
             Goldberg ha replicato con: Piccola precisazione
   abc ha replicato con: bella storia
     Goldberg ha replicato con: Grazie ABC
       abc ha replicato con: complimenti
   dolceluna ha replicato con: ALLORA?!!!
     Goldberg ha replicato con: Scriverò questo week end..
       dolceluna ha replicato con: Dunque?
         Goldberg ha replicato con: Troppi impegni al momento..



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